Niccolò Machiavelli

gigatos | Dicembre 8, 2021

Riassunto

Nicolas Machiavelli (italiano: Niccolò di Bernardo dei Machiavelli) è stato un umanista fiorentino del Rinascimento, nato il 3 maggio 1469 a Firenze e morto nella stessa città il 21 giugno 1527. Teorico della politica, della storia e della guerra, ma anche poeta e drammaturgo, fu per quattordici anni funzionario della Repubblica Fiorentina, per la quale svolse diverse missioni diplomatiche, in particolare presso il papato e la corte francese. Durante tutti questi anni, ha osservato da vicino i meccanismi del potere e il gioco delle ambizioni concorrenti. In questo senso, Machiavelli è, insieme a Tucidide, uno dei fondatori del movimento realista in politica internazionale. Due grandi libri hanno reso famoso questo fiorentino: Il Principe e Discorso sulla prima decade di Tito Livio.

Fu uno dei fondatori della politica moderna e i suoi scritti ispirarono diversi grandi teorici dello stato, in particolare Jean Bodin, Thomas Hobbes e John Locke, così come un rinnovato interesse per la nozione di coscrizione, che era molto diffusa durante la Repubblica Romana. Il suo desiderio di separare la politica dalla morale e dalla religione ebbe anche un profondo effetto sulla filosofia politica. È su questo punto che le interpretazioni del pensiero di Machiavelli differiscono maggiormente. Per Leo Strauss, la rottura tra politica e morale segna il confine tra la filosofia politica classica e quella moderna, che decollerà quando Thomas Hobbes ammorbidirà il radicalismo machiavellico. Strauss segue l”ugonotto Innocent Gentillet e vede Machiavelli come “un maestro del male”: questo è tutto il tema del machiavellismo visto come volontà di ingannare, una lezione di cinismo e immoralismo. Per altri, come Benedetto Croce, Machiavelli è un realista che distingue tra fatti politici e valori morali e per il quale, secondo la distinzione proposta da Max Weber, ogni azione politica pone gli statisti di fronte a un conflitto tra l”etica della responsabilità e l”etica della convinzione. È anche in questa luce che Machiavelli è visto come un precursore di Francesco Bacone, dell”empirismo e della scienza basata sui fatti.

La sua politica è caratterizzata dal movimento, dalle perturbazioni violente e dal conflitto. Mentre l”uso della forza è una possibilità chiaramente accettata, la politica richiede anche abilità retoriche per convincere gli altri. Infine, richiede ai politici di usare la virtù, uno dei concetti chiave del suo pensiero, che si riferisce all”abilità, al potere individuale e all”estro, per superare la forza cieca della sfortuna e per innovare in modo che lo stato possa affrontare le sfide che si presentano. Qui ci sono due tradizioni interpretative opposte: quelle che insistono, come Nietzsche, sul carattere aristocratico dello statista machiavellico, e quelle che, al contrario, sottolineano il fatto che, in una repubblica dove tutti hanno la libertà di partecipare alla politica, ci saranno molti uomini con la virtù per affrontare le sfide che si presentano.

Nei Discorsi sulla prima decade di Tito Livio emerge il repubblicanesimo di Machiavelli. Questo ispirerà il repubblicanesimo delle rivoluzioni inglesi del XVII secolo e le forme di repubblicanesimo che emergeranno dopo le rivoluzioni francese e americana. Lungi dal vedere il Principe di Machiavelli come un modello da imitare, Jean-Jacques Rousseau lo vide come una satira della tirannia che rendeva l”istituzione di una repubblica ancora più necessaria. L”interpretazione repubblicana di Machiavelli ha guadagnato slancio alla fine del XX secolo con il lavoro di John Greville Agard Pocock e Quentin Skinner. In contrasto con questa interpretazione positiva, il pensiero di Machiavelli è stato accusato dello scoppio delle due guerre mondiali e dell”ascesa del totalitarismo. La grande diversità di interpretazioni di Machiavelli deriva, secondo Charles Benoist, dal fatto che esistono almeno quattro tipi di machiavellismo: quello di Machiavelli, quello dei suoi discepoli, quello dei suoi avversari e quello delle persone che non lo hanno mai letto.

I primi anni

Nicola Machiavelli nacque il 3 maggio 1469 a Firenze, in un”antica famiglia senza ricchezza né status politico. Era il terzo figlio di Bernard Machiavelli, dottore in legge e tesoriere papale a Roma, e di Bartolomea di Stefano Nelli, di un”antica famiglia di mercanti fiorentini. Anche se la famiglia aveva regolarmente difficoltà finanziarie, Nicholas, che leggeva molto, ricevette una solida educazione umanista. Poiché non padroneggiava il greco antico, leggeva le opere dei filosofi greci in latino: Aristotele, Platone, Plutarco, Polibio, Tucidide. Leggeva anche i grandi autori latini: Cicerone, Seneca, Cesare, Livio, Tacito, Sallustio, Ovidio e Virgilio, Plauto e Terenzio. Lucrezio, di cui copiò il De rerum natura (1497), ebbe un profondo effetto sul suo approccio alla religione. Poco si sa della sua vita tra il 1489 e il 1498, un periodo travagliato segnato dalla prima guerra italiana, l”indipendenza nel 1494 di Pisa, una città che fino ad allora era servita come porto per Firenze, e l”istituzione di una teocrazia a Firenze sotto Savonarola.

Il 6 maggio 1476, andò a scuola per la prima volta. Ha studiato il “donatello”, l”edizione abbreviata della grammatica di Donato, un autore latino del quarto secolo.

La carriera di governo (1498-1512)

Nel febbraio 1498, Machiavelli fu nominato secondo segretario della Signoria. Il 28 maggio, gli fu proposto di essere messo a capo della seconda cancelleria.

Machiavelli fu nominato dal Gran Consiglio a capo della seconda cancelleria della città il 19 giugno 1498. Il 14 luglio, Machiavelli fu anche nominato segretario dei Dieci della Libertà e della Pace. Machiavelli compì la sua prima missione il 24 marzo 1499. Mirava a convincere un condottiero ad accontentarsi del prezzo pattuito. A maggio scrisse il Discorso sugli affari di Pisa. Dal 16 al 25 luglio, Machiavelli intraprese una nuova missione a Forlì: Firenze voleva assumere il figlio di Caterina Sforza, che era signore di Forlì. Lungi dall”essere un agente subordinato, è l”uomo di tutti i mestieri della Repubblica Fiorentina. Si occupò dapprima della gestione dei possedimenti di Firenze in Toscana, prima di diventare segretario dell”ufficio incaricato degli affari esteri e uno degli inviati speciali preferiti dal governo fiorentino. Tuttavia, non fu mai ambasciatore, compito riservato ai membri delle famiglie più in vista. Machiavelli era soprattutto un uomo per missioni che richiedevano discrezione e anche segretezza, dove doveva ottenere informazioni e decifrare le intenzioni dei leader che incontrava. Fu in questo contesto che, nel 1500, si recò in Francia dove incontrò il cardinale Georges d”Amboise, ministro delle finanze di Luigi XII. Al cardinale che con arroganza gli disse che gli italiani non capivano niente di guerra, replicò che i francesi non capivano niente di stato, perché altrimenti non avrebbero permesso alla Chiesa di acquisire tanta forza. Tra giugno e luglio, Machiavelli fu coinvolto nell”assedio di Pisa, incontrando difficoltà sulla paga dei mercenari prestati dal re di Francia. Dal 7 agosto alla fine di dicembre, Machiavelli si recò alla corte francese per difendere la causa di Firenze nell”affare dei mercenari e per risolvere il problema della paga per il futuro.

Nel 1501 sposò Marietta Corsini, dalla quale ebbe una figlia, Bartolomea, e quattro figli che raggiunsero l”età adulta: Bernardo, Ludovico, Piero Machiavelli e Guido. Il 2 febbraio si recò a Pistoia, una città sottomessa di Firenze, dove cercò di calmare i dissensi tra due fazioni rivali. Vi ritornò in luglio, in ottobre e l”anno successivo. Il 18 agosto, Machiavelli fu anche inviato a Siena per sventare gli intrighi di Cesare con Pandolfo Petrucci, signore di Siena. Nel 1502, l”elezione di Pier Soderini a gonfaloniere di Firenze rafforzò la posizione di Machiavelli. Inviato in missione al campo di Cesare Borgia, duca di Valentinois, allora in Romagna, ammirò la sua combinazione di audacia e prudenza, il suo abile uso della crudeltà e della frode, la sua fiducia, la sua volontà di evitare le mezze misure, così come l”uso delle truppe locali e la rigorosa amministrazione delle province conquistate. Machiavelli avrebbe poi considerato, ne Il Principe, che la condotta di Cesare Borgia nel conquistare province, creare un nuovo stato da elementi sparsi, e il suo trattamento dei falsi amici e degli alleati dubbi, era lodevole e degno di scrupolosa imitazione. Il 26 giugno Machiavelli si affrettò a tornare a Firenze per rendere note le minacce di Cesare.

Nel 1505-1506, essendosi dimostrate costose e inefficaci le truppe mercenarie reclutate da Firenze per riconquistare Pisa, il governo decise di seguire il consiglio di Machiavelli e gli affidò la missione di raccogliere un esercito tramite la coscrizione. Nel 1506, incontrò papa Giulio II. Nel 1507, Pier Soderini voleva mandare Machiavelli a negoziare con l”imperatore Massimiliano, ma gli aristocratici, che vedevano Machiavelli come suo uomo e quindi come filo-francese, bloccarono la sua nomina. Machiavelli era deluso dall”atteggiamento di Soderini. Nel giugno del 1509, Firenze riconquistò Pisa in parte grazie all”esercito che aveva raccolto. Questo fu l”apice della sua carriera governativa, ma anche l”inizio della fine. In effetti, era già molto isolato in cancelleria, come lo avvertì uno dei suoi colleghi, Biagio Buonaccorsi, in un passaggio criptico: “ci sono così poche persone qui che vogliono aiutarti”. Nonostante questo, Machiavelli poteva contare su alcuni amici fedeli che lo stimavano molto, come Biagio Buonaccorsi e Agostino Vespucci.

Nel 1511, papa Giulio II istigò la creazione della Lega Santa contro la Francia, un”iniziativa che andava contro la politica perseguita da Soderini e Firenze, alleati dei francesi. Così, quando i francesi furono sconfitti nel 1512, il Papa lasciò che gli spagnoli rimettessero i Medici al potere. La Repubblica di Firenze cadde, le truppe di Machiavelli furono sconfitte a Prato e Soderini fu costretto all”esilio. Machiavelli cercò comunque di rimanere in carica scrivendo una lettera a Giuliano de” Medici in cui si atteggiava a difensore del bene pubblico e gli chiedeva di essere ragionevole nella sua richiesta di restituzione dei beni rubati. Non ha avuto successo. All”inizio di novembre 1512, fu sollevato dalle sue funzioni di segretario della cancelleria. Ha dovuto fornire un enorme deposito e dare conto della sua gestione.

Relegazione

Nel gennaio 1513, Machiavelli fu sospettato di aver partecipato a una cospirazione fomentata da Pietro Paolo Boscoli. Arrestato il 20 febbraio, è stato messo in prigione e torturato. Fu rilasciato nel marzo 1513 durante l”amnistia generale concessa in occasione dell”ascesa al soglio pontificio del cardinale Giovanni de Medici con il nome di Leone X. Si ritirò poi nella sua proprietà a Sant”Andrea in Percussina, frazione di San Casciano in Val di Pesa. L”anno seguente Machiavelli interruppe la scrittura dei Discorsi per continuare a scrivere la sua opera più famosa, Il Principe. Nelle sue lettere a Francesco Vettori, scritte intorno al 1513, si possono scorgere due temi centrali de Il Principe: la sua disperazione per le vicende italiane e l”inizio della sua teorizzazione di quello che potrebbe essere un principe virtuoso, cioè capace di unificare il popolo italiano. Mostra anche una forte fede nell”intelligibilità della storia e della politica. Il Principe, dedicato a Lorenzo II de” Medici, è un modo per lui di cercare di riconquistare un posto nella vita politica di Firenze. La dedica del libro è abbastanza esplicita:

“Coloro che desiderano conquistare le grazie di un principe, sono generalmente abituati a presentarsi a lui con quei loro beni ai quali attribuiscono il maggior valore Desiderando quindi da parte mia offrirmi alla Vostra Magnificenza con qualche testimonianza della mia rispettosa devozione a Lui, non ho trovato tra i miei beni nulla che io apprezzi o tenga in così alta considerazione come la conoscenza delle azioni dei grandi uomini, come ho acquisito delle cose moderne con una lunga esperienza e degli antichi con una lettura assidua.

– Dedica del Principe a Lorenzo II de” Medici

Durante questo periodo di relegazione, scrisse anche due libri ispirati da conversazioni tenute con la sua cerchia di amici nei giardini della famiglia Rucellai (Orti Oricellari): i Discorsi sulla prima decade di Livio e l”Arte della guerra. Mentre ne Il Principe si atteggia a consigliere, nei Discorsi si vede più come un maestro che insegna alle giovani generazioni. L”opera dello storico Livio è una bibbia per lui e la usa ampiamente per analizzare gli eventi politici.

Durante questo periodo, si dedicò anche alla letteratura per ravvivare questa compagnia di amici. Nel 1515, scrisse la piacevolissima storia breve dell”arcidiacono Belphegor, che prese moglie, presumibilmente presa “da una delle antiche cronache di Firenze” e che “raffigura Plutone negli inferi, che è molto imbarazzato nel vedere come tutti i suoi clienti danno la colpa alle loro mogli”. Vuole saperlo con certezza e manda l”arcidiavolo Belphegor sulla terra con la missione di sposare una bella ragazza e vedere cosa succede. Questo è l”unico racconto scritto da Machiavelli e non fu pubblicato fino al 1545.

Allo stesso tempo, cominciò a scrivere opere teatrali. Il primo fu L”Andrienne, una traduzione fedele di una commedia di Terenzio, che non ebbe molto successo. La sua prossima opera, tuttavia, fu accolta molto bene: La Mandragore, una commedia in cinque atti su cinque personaggi e i loro servi. Mostra gli stratagemmi con cui il giovane Callimaco cerca di sedurre la giovane e virtuosa Lucrezia, sposata al barone Nicia, che si dispiace di non avere figli. Callimaco si spaccia per un rinomato medico che promette il successo con una pozione a base di mandragola. L”opera, piuttosto anticlericale, fu rappresentata per la prima volta a Firenze nel 1518, per le nozze di Lorenzo de” Medici con Madeleine de La Tour d”Auvergne.

Nel 1517, scrisse un poema allegorico, l”Asino d”oro, in cui si evidenzia la sua tristezza. Scrisse anche varie poesie e pezzi satirici: “tutti hanno lo stesso carattere di forza, rabbia, spirito satirico, disposizioni amorose e lamentele sul suo destino sfortunato”. La sua delusione è evidente in una lettera dello stesso anno a Vernacci: “Il destino ha fatto il peggio che poteva farmi. Sono ridotto a una condizione in cui non posso fare nulla per me stesso e ancor meno per gli altri”.

Gli ultimi anni: 1520-1527

Su richiesta del cardinale Giulio de” Medici, il futuro Clemente VII, scrisse la sua Storia di Firenze dal 1520, che non completò fino al 1526. Scrisse anche un Discorso sulla riforma dello Stato di Firenze (1520), commissionato segretamente da Leone X. Nel 1521, Firenze inviò Machiavelli al Capitolo Generale dei Francescani a Carpi, mentre la corporazione della lana lo incaricò di trovare un predicatore per l”anno successivo. Questo scatenò un commento ironico da parte del suo amico Guicciardini (Guichardin), che conosceva i sentimenti religiosi del fiorentino. Guichardin, uno dei suoi corrispondenti attratti, avrebbe poi pubblicato Considerazioni sui Discorsi del Machiavelli. Nel 1525, gli amici di Machiavelli si presero gioco della sua relazione con Barbara Salutati, la cantante della sua commedia La Mandragore. Questa relazione ispirò Machiavelli a scrivere una nuova commedia, Clizia, basata sulla trama della Casina di Plauto, in cui il vecchio Nicomaco si innamora perdutamente di una giovane donna, Clizia. La commedia ebbe un grande successo, estendendosi oltre la Toscana e la Lombardia. Il successo dell”opera portò alla ripresa de La Mandragore, che fu rappresentata nel 1526 a Venezia, dove fu accolta con entusiasmo.

A partire dal 1525, Machiavelli intuì che l”Italia sarebbe diventata il campo di battaglia dove Carlo V e Francesco I si sarebbero scontrati. Nel 1526, Firenze gli chiese consiglio su come rafforzare le sue fortificazioni e raccogliere un esercito. Nel 1527, l”imperatore Carlo V, insoddisfatto della procrastinazione di Clemente VII, lanciò un esercito imperiale mal pagato su Firenze. Machiavelli chiamò Guicciardini, allora luogotenente generale delle armate papali nel nord, per venire in soccorso. Con l”aiuto dei francesi, salvò Firenze ma non poté evitare il sacco di Roma nel maggio 1527. Ne seguì una rivolta antimedicea e una nuova repubblica fu stabilita a Firenze. Machiavelli morì poche settimane dopo, il 21 giugno 1527, di peritonite.

Machiavelli è sepolto nella Basilica di Santa Croce a Firenze nella tomba della famiglia Machiavelli. Verso la fine del XVIII secolo, su iniziativa di Lord Nassau Clavering, fu eretto un monumento in suo onore accanto alla tomba di Michelangelo, sormontato da un”allegoria della Musa Clio, che simboleggia la Storia e la Politica, con la massima Nessuna lode equivale a un nome così grande.

Il Principe

Le circostanze della stesura de Il Principe ci sono note grazie a una lettera di Machiavelli all”amico Vettori del 10 dicembre 1513: “Ho annotato dai miei colloqui con loro ciò che mi sembrava essenziale e ho composto un opuscolo De Principatibus, in cui scavo al meglio nei problemi posti da un tale argomento: cos”è la sovranità, quanti tipi ce ne sono, come si acquista, come si mantiene, come si perde”. Il titolo originale non era quindi Il Principe, ma Dei Principati, che, secondo Artaud, colloca quest”opera in un contesto diverso.

Il libro è composto da 26 brevi capitoli. Nei primi undici, Machiavelli considera come i principali tipi di principati possono essere governati e mantenuti. I tre capitoli successivi trattano la politica militare in caso di aggressione e difesa. Poi, nove capitoli esaminano la relazione che il principe dovrebbe stabilire con il suo entourage e i suoi sudditi, e le qualità che dovrebbe mostrare. Gli ultimi tre capitoli trattano delle disgrazie dell”Italia, della necessità di liberarla dai barbari e dei rispettivi poteri della virtù e della fortuna.

Per Augustin Renaudet, Il Principe è il “breviario dell”assolutismo”, cioè un”analisi dei metodi con cui un uomo ambizioso può salire al potere. Lo stesso vale per Jacob Burckhardt. Per Rehhorn, invece, il Principe descritto da Machiavelli è un misto di architetto e muratore, che progetta e costruisce la città o lo stato. Machiavelli usa il verbo nascere ventisette volte e i verbi crescere e accrescere sei volte ciascuno. Anche se Machiavelli menziona due volte che il Principe crea lo stato introducendo la forma nella materia, per lui, a differenza degli Scolastici o di Aristotele, la crescita non è fondamentalmente legata a qualcosa di organico o sessuale. Si riferisce prima di tutto ai fondamenti dello stato e alla ragione: “la sua visione si occupa di libertà e potere, e collega il Principe alla tradizione epica, in particolare a un importante eroe epico dell”antichità: l”Enea di Virgilio”. Come Virgilio, Machiavelli struttura il suo pensiero contrapponendo l”ozio pastorale al lavoro e al dolore. Come Enea, il fondatore di Lavinium, il Principe di Machiavelli è sempre impegnato a fondare lo stato o a mantenerlo. A sostegno di questa tesi, Rebhorn sottolinea che virtù in Machiavelli si riferisce agli attributi dell”eroe epico: valore, astuzia, talento, carattere.

Per Leo Strauss, “il tema principale del Principe è il principe completamente nuovo di uno stato completamente nuovo, in altre parole il fondatore”. Per Machiavelli, secondo questo storico della filosofia, la giustizia non è, come in Agostino di Ippona, il fondamento del regno, perché qui “il fondamento della giustizia è l”ingiustizia; il fondamento della legittimità è l”illegittimità o la rivoluzione; il fondamento della libertà è la tirannia”. Per Strauss, il passaggio più illuminante del libro è nell”ultimo capitolo, quando Machiavelli esorta Lorenzo de Medici a liberare l”Italia. In questo passaggio, secondo Strauss, Machiavelli profetizzerebbe:

“La profezia di Machiavelli afferma quindi che una nuova rivelazione, la rivelazione di un nuovo decalogo, è imminente. Questo nuovo Mosè è Machiavelli stesso, e il nuovo decalogo è l”insegnamento interamente nuovo sul principe interamente nuovo di uno stato interamente nuovo. È vero che Mosè era un profeta armato e Machiavelli è uno di quei profeti disarmati che portano necessariamente al disastro.

Discorso sulla prima decadenza di Tito Livio

Se il Principe è il libro più letto di Machiavelli, i Discorsi sono l”opera in cui esprime più chiaramente la sua visione della politica e le sue simpatie repubblicane. È anche un libro in cui presta grande attenzione alla monarchia francese, che vede come la migliore di tutte le monarchie temperate da leggi e parlamenti. Tuttavia, mentre il popolo vive in sicurezza, non è libero. Il re, diffidando dei suoi sudditi, preferisce disarmarli e usare mercenari stranieri. Il popolo era completamente passivo e la nobiltà dipendente. Quindi, anche se il Regno di Francia è una “buona monarchia”, non può essere paragonato alla Repubblica Romana dove il popolo e la nobiltà partecipavano al governo.

Secondo Leo Strauss, mentre il piano del Principe è facile da capire, quello dei Discorsi è oscuro. L”idea generale sembra essere il desiderio di Machiavelli di riscoprire i valori degli antichi, valori che il cristianesimo ha tendenzialmente equiparato ai vizi, così che nei Discorsi non solo cerca di presentare la virtù antica, ma anche di riabilitarla “di fronte alle critiche cristiane”. Per fare questo, deve stabilire sia “l”autorità dell”antica Roma… – cosa che fa nel Libro I. Nel Libro II, sostiene che mentre la religione cristiana poneva “il massimo bene nell”umiltà, nello svilimento e nella denigrazione delle cose umane, la religione antica poneva il massimo bene nella grandezza dell”anima”. Nel Libro III, egli insiste sul fatto che, per durare, le repubbliche hanno spesso bisogno di guardare indietro ai loro inizi. Nella Chiesa, questo è quello che hanno fatto i francescani e i domenicani, ma lo hanno fatto lasciando intatta la gerarchia. Per far sì che tali risorse funzionino davvero, dobbiamo tornare, secondo Machiavelli, al terrore primitivo. Pierre Manent giunge alla stessa conclusione: il nuovo ordine politico che Machiavelli propugna presuppone “in un senso essenziale il terrore”.

Il problema della continuità del pensiero di Machiavelli tra Il Principe e i Discorsi

Per quanto riguarda quest”opera e il suo legame con il libro Il Principe, dominano due interpretazioni. Per Geerken, seguendo una tradizione consolidata, non c”è una grande differenza tra i due libri, Baron e Quentin Skinner, al di là degli elementi comuni – “la stessa polarità tra virtù e fortuna, la stessa importanza della forza bruta per trionfare sulle avversità, e la stessa morale politica basata sulla virtù” – i due libri non sono incentrati sullo stesso “valore centrale”. Per Quentin Skinner, il valore centrale del Principe è la sicurezza per “mantenere i suoi stati”, mentre il valore centrale dei Discorsi è la libertà politica. Skinner rifiuta l”interpretazione di Cassirer di Machiavelli come “specialista scientifico e tecnico della vita politica”. Per lui, infatti, “Nicola è in realtà un coerente, persino fervente, sostenitore del governo popolare”. Skinner sostiene che il tono generale dei Discorsi è di “risoluta ostilità” alla monarchia. Infatti, egli nota che il tema del primo Discorso è l”avvento della libertà repubblicana, e che il secondo libro tratta del modo in cui il potere militare ha sostenuto la libertà del popolo, con il terzo libro dedicato a mostrare l”importanza dell”azione degli individui liberi nel rendere grande Roma.

L”arte della guerra

Machiavelli scrisse l”Arte della Guerra nell”agosto del 1521 per diverse ragioni. Prima di tutto, durante la prima guerra italiana condotta dal re di Francia nel 1494, Pisa, che allora era un porto importante, si staccò da Firenze. Il gonfalone (capo del governo) di Firenze, Pier Soderini, voleva riconquistare la città. A tal fine, fece prima appello ai signori della guerra (condottieres) e alle loro truppe (condotta) composte da mercenari. Questi ultimi hanno fallito nella loro missione e sono costati cari allo Stato. A Machiavelli fu quindi chiesto di introdurre una sorta di coscrizione (ordinanza) nelle campagne intorno a Firenze. Nonostante il fatto che i coscritti fossero addestrati solo la domenica e i giorni festivi, Machiavelli riuscì comunque a formare un esercito di circa 2.000 uomini che si comportò onorevolmente durante la riconquista di Pisa l”8 giugno 1509. Tuttavia, furono sconfitti dalle truppe imperiali che reinstallarono i Medici a capo di Firenze nel 1512.

Al tempo in cui Machiavelli scrisse la sua opera, molti libri sul tema della coscrizione e delle forze armate venivano pubblicati in Italia. Antichi scrittori militari fu pubblicato nel 1487; nel 1496 l”Arte della guerra di Vegezio fu ripubblicato, così come il trattato di Frontino sugli stratagemmi. Infatti, la prima guerra italiana, combattuta dai francesi con l”appoggio della fanteria svizzera e guascone e di una forte artiglieria, dimostrò che la guerra era cambiata e che le guerre a basso costo combattute dai condottieri erano una cosa del passato. I francesi, i cui svizzeri avevano adottato la tattica delle falangi greche, furono a loro volta surclassati nella battaglia di Cerignole nel 1503 dalla fanteria spagnola, che impiegava una tecnica ereditata dalle legioni romane.

L”arte della guerra è presentata sotto forma di dialogo tra tre giovani aristocratici, il condottiero Fabrizio Colonna che partecipò alla battaglia di Cerignola e il loro ospite, il giovane Cosimo Rucellai, al quale il libro è dedicato. L”intervista si svolge nei giardini Rucellai, Orti Oricellari. I tre giovani aristocratici sono repubblicani e saranno esiliati dopo aver complottato contro i Medici. In quest”opera, divisa in sette libri, Machiavelli entra molto nel dettaglio: indica come disporre i soldati in ogni compagnia, come manovrare, ecc. Per Jean-Yves Boriaud, Machiavelli voleva “dimostrare al lettore che il sistema militare italiano, attualmente inefficace, può ritrovare il suo valore solo tornando alla maniera antica”.

Machiavelli, a differenza di Erasmo per il quale la guerra è “il male puro”, non è interessato all”elemento morale, ma all”efficienza. Inoltre, nel Principe, ha scritto: “Un principe non può avere altro obiettivo, altro pensiero che la guerra e non deve dare altro oggetto alla sua arte che la sua organizzazione e disciplina”, un altro modo di dire che la guerra è uno stato di cose. Molto rapidamente, L”arte della guerra divenne un classico. Fu citata da Montaigne e dal maresciallo di Sassonia nelle sue fantasticherie sull”arte della guerra. Machiavelli è senza dubbio uno di quelli che ha contribuito a rendere popolare l”idea della coscrizione, che si sarebbe diffusa in Europa con la rivoluzione francese.

Storie fiorentine

L”8 novembre 1520, Machiavelli fu incaricato dal cardinale Giulio de Medici di scrivere una storia di Firenze. Passò sei anni a comporla e la presentò al papa nel maggio 1525. La lettera di dedica, tuttavia, sembra implicare che aveva intenzione di aggiungere al testo. Il libro traccia l”origine della città alla morte di Lorenzo de” Medici nel 1492. Per Machiavelli, la storia è uno studio, un”indagine. Come per gli storici umanisti, la ricerca storica ha sia motivi pratici che teorici. Se in questo studio affronta il contesto dal punto di vista intellettuale, culturale, economico e sociale, è per studiare le loro conseguenze politiche. A differenza di Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini, che lo hanno preceduto nello scrivere una storia di Firenze, egli vede le divisioni e le discordie che animavano la vita politica fiorentina come segni di grandezza e rimprovera a quei due storici di non averle sapute vedere. In un certo senso, secondo lui, questi autori sopravvalutano il potere della morale e sottovalutano l”ambizione degli uomini e il loro desiderio di vedere il loro nome perpetuato.

I primi due libri sono dedicati alla storia di Roma e Firenze. Nel libro III, sostiene che la cacciata della nobiltà ha portato Firenze a perdere la “scienza delle armi” e “l”audacia della sua mente”. Nel primo capitolo del libro IV, accusa la plebe e la nobiltà di aver ceduto alla corruzione, la prima indulgendo alla licenziosità e la seconda introducendo la schiavitù. Alla fine del XIV secolo, Firenze, secondo lui, aveva perso il suo vigore e viveva nella corruzione.

Le opinioni sono molto divise sul pensiero di Machiavelli, un autore che Raymond Aron descrive come “la sfinge, il diplomatico al servizio di Firenze, il patriota italiano, l”autore la cui prosa, in ogni momento limpida e globalmente equivoca, nasconde le sue intenzioni, le cui successive illuminazioni hanno sfidato l”ingegnosità dei commentatori per quattro secoli”.

Rottura con la filosofia politica precedente

Per Leo Strauss, Machiavelli segna la fine della filosofia politica classica inaugurata da Platone e Aristotele, il cui scopo era sviluppare la virtù e dove la morale era “qualcosa di sostanziale: una forza nell”anima dell”uomo”, mentre in Machiavelli, al contrario, la morale è distinta dalla politica. A causa della radicalità del pensiero di Machiavelli, lo storico ritiene che il vero fondatore della filosofia politica moderna sia Thomas Hobbes, che in qualche modo ammorbidì il pensiero del fiorentino. Pierre Manent caratterizza le differenze tra Machiavelli e Hobbes con una formula lapidaria: “Machiavelli teorico dell”azione politica, Hobbes teorico dell”istituzione”.

In tutto il suo libro Il Principe, Machiavelli critica l”opinione prevalente del suo tempo che l”autorità legittima derivi dalla bontà morale. Egli sostiene che non si può giudicare la legittimità o l”illegittimità del potere su una base morale. Maurizio Viroli sostiene che i passaggi più controversi del Principe sono attacchi espliciti alla teoria politica di Cicerone. A un”osservazione del romano che nota che ciò che si ottiene con la frode e la forza è bestiale e indegno dell”uomo, Machiavelli risponde che colui che governa deve impiegare mezzi bestiali oltre che propriamente umani. All”argomento di Cicerone che per assicurarsi l”influenza è meglio usare l”amore che la paura, Machiavelli risponde che è più efficace “essere temuto che essere amato”. Al romano che sostiene che la crudeltà è ciò che la natura umana aborrisce di più, Machiavelli replica nel capitolo 8 de Il Principe: “si possono chiamare ben usate quelle crudeltà (se del male è lecito dire del bene) che si fanno subito, per il bisogno di sicurezza, e che non si persistono dopo, ma che si convertono in maggior profitto per i soggetti”. Tuttavia, non si dovrebbe immaginare che Machiavelli fosse in totale opposizione ai principi di Cicerone. Secondo Maurizio Viroli, il romano ha ragione tranne nei casi in cui è in gioco la sopravvivenza dello Stato. In generale, Nederman sostiene che per Machiavelli, “la nozione di diritti legittimi a governare non aggiunge nulla al possesso effettivo del potere”. L”essenza della politica sta nello studio di come usare il potere per garantire la sicurezza dello stato, per mantenersi al potere e per essere obbediti dal popolo. Mentre Machiavelli credeva che buone leggi e un forte esercito fossero la base di un sistema politico efficace, per lui la forza era più importante della legge.

Per Leo Strauss, Machiavelli inaugura “una politica basata esclusivamente su considerazioni di convenienza, una politica che impiega tutti i mezzi, leali o sleali”, e prepara “la rivoluzione compiuta da Hobbes”. Per questo storico della filosofia politica, in Machiavelli, come in Hobbes dopo, “in principio non c”è Amore, ma Terrore”. Machiavelli sarebbe così il Mosè di un nuovo decalogo della filosofia politica, un nuovo decalogo che porta al disastro.

Sottolineando questa visione critica, Pierre Manent ritiene che “le idee di Machiavelli equivalgono a una sconfitta dell”universale. La sua concezione del Principe duale, il suo tema ossessivo della violenza indispensabile e della crudeltà salutare sono solo logicamente e politicamente necessari per gli elementi su cui Machiavelli costruisce la sua teoria: l”individuo spogliato delle prerogative che la filosofia classica gli riconosceva, e l”evento inassimilabile ai suoi occhi dagli universali a disposizione del suo tempo.

Maurice Merleau-Ponty trova Machiavelli in definitiva più morale di coloro che professano la moralità e che, pur affermando di preoccuparsi degli altri, in realtà si preoccupano solo di essere d”accordo con se stessi e ignorano i desideri di coloro per i quali intendono il loro moralismo.

L”approccio di Machiavelli alla politica è neutrale rispetto a chi è al potere. La lettura del Principe ha reso la parola ”machiavellico” un sinonimo di inganno, dispotismo e manipolazione politica. Leo Strauss tende a seguire la tradizione di vedere Machiavelli come un ”maestro del male” nella misura in cui consiglia ai principi di ignorare i valori di giustizia, misericordia, temperanza, saggezza e amore del loro popolo a favore dell”uso della crudeltà, della violenza, della paura e dell”inganno. In questo senso, egli vede Machiavelli come l”opposto dell”americanismo e delle aspirazioni americane.

Già nel 1605, Bacon aveva riconosciuto che Machiavelli non fa altro che dichiarare apertamente ciò che i governanti fanno piuttosto che ciò che dovrebbero fare. Allo stesso modo, per il filosofo italiano antifascista Benedetto Croce (1925), Machiavelli è un realista o pragmatico che ha capito che i valori morali hanno solo un”influenza limitata sulle decisioni dei leader politici. Per il filosofo tedesco Ernst Cassirer (1946), Machiavelli adotta l”atteggiamento di un uomo di scienza politica, è il Galileo della politica, che distingue tra i fatti della vita politica e i valori dei giudizi morali.

La politica in Machiavelli: scienza pura, scienza umana o arte?

Insistendo sull”inutilità di teorizzare a partire da situazioni fittizie, Machiavelli è talvolta visto come il prototipo dello scienziato moderno che costruisce generalizzazioni a partire dall”esperienza e dai fatti storici.

“Ha emancipato la politica dalla teologia e dalla filosofia morale. Si impegnò a descrivere semplicemente ciò che i governanti facevano e anticipò quella che più tardi fu chiamata la mente scientifica in cui le questioni di giusto e sbagliato sono ignorate, e l”osservatore cerca di scoprire solo ciò che è realmente accaduto”.

Baudrillart, più sfumato, ritiene che Machiavelli “concepiva la politica piuttosto come un”arte che come una scienza. La sua politica è tutta azione. Che si tratti di dimenticanza o di scetticismo, non importa: ha lasciato da parte quasi completamente ciò che fa della politica una scienza nel senso filosofico della parola, voglio dire lo studio dei fondamenti stessi della società e il confronto razionale delle legislazioni. Questa nozione così filosofica del diritto, come concepita da Montesquieu, è estranea e antipatica al suo genio”. Per Raymond Aron, la politica machiavellica è essenzialmente una tecnica di azione che pensa solo in termini di mezzi e finisce per confondere fini e mezzi. Il problema è che un tale progetto di scienza politica rischia per lui “di portare ad un eccessivo amoralismo”. Tuttavia, Aron insiste sul carattere scientifico dell”approccio di Machiavelli e lo avvicina a quello di Vilfredo Pareto. Vale la pena notare che gli studi di Aron si sono concentrati su ciò che Machiavelli può insegnarci sulla politica estera da una prospettiva vicina al realismo, anche se egli ritiene che i metodi di Machiavelli e Pareto forniscono una visione “impoverita” perché “l”esistenza umana è sfigurata da questo modo realista di considerazione”.

Per Leo Strauss, Machiavelli sviluppò “una sorta di aristotelismo degradato”, assumendo senza prove che una “scienza naturale teleologica”, cioè guidata da una causa finale, non fosse possibile. Ma così facendo, Machiavelli stava semplicemente anticipando la nuova scienza naturale che si sarebbe sviluppata nel XVII secolo, con la quale avrebbe avuto una “parentela nascosta”. Infatti, mentre i classici cercavano lo stato normale o medio, i moderni si basavano più sui casi estremi e sull”eccezione per teorizzare.

Secondo Maurizio Viroli, è sbagliato considerare Machiavelli come il fondatore della scienza politica perché il fiorentino non è uno scienziato in nessun senso della parola. Non è uno scienziato nel senso empirico della parola, perché non cerca di raccogliere o descrivere un insieme di fatti adeguati, ma interpreta “parole, azioni, gesti e testi per dare consigli, fare previsioni e ricostruire storie post factum”. Né è uno scienziato hobbesiano il cui sistema si basa su deduzioni da definizioni irrefutabili di parole. Né il suo metodo è come quello di Galileo, perché Machiavelli non fa né esperimenti né generalizzazioni basate su un numero significativo di fatti. Infine, Machiavelli non è uno scienziato nel senso di una persona che rifiuta di ricorrere al soprannaturale, perché la fortuna (il destino) ha per lui un”importanza definitiva.

Maurizio Viroli sostiene che quella che è stata presa come scienza è l”arte del retore. Machiavelli usa la sua conoscenza della storia e la sua capacità di interpretare azioni, parole e gesti per convincere. In questa visione, la politica non è solo una prova di forza, ma richiede anche eloquenza, e libri come i Discorsi e specialmente il Principe dovrebbero essere letti non come scritti per esporre una verità scientifica o morale ma come una chiamata all”azione. Questo modo di leggere Il Principe è, secondo Viroli, l”unico modo per capire perché Machiavelli metta alla fine del suo libro una “Esortazione a prendere l”Italia e liberarla dai barbari”, un passaggio che non ha posto in uno scritto “scientifico”.

In una parola, per lo studioso italiano, Machiavelli rappresenta l”apice della tradizione romana della scientia civilis basata sull”arte della deliberazione. Così facendo, egli si inserisce in una tradizione in cui la retorica è vista come uno strumento politico per modellare le risposte dei suoi interlocutori e influenzare la loro volontà. Machiavelli si inserisce nella tradizione della retorica politica e giuridica teorizzata dalle opere di Aristotele, Cicerone e Quintiliano, così come è stata ripresa dal XII e XIII secolo nelle città-stato italiane. A Firenze, il cancelliere Brunetto Latini (c.1210-1294), meglio conosciuto oggi come una delle anime dannate nell”Inferno di Dante, scrisse ampiamente sull”utilità dell”eloquenza nel trattare i conflitti politici.

Per Max Weber, non ci può essere una scienza pura nelle scienze umane perché c”è sempre un conflitto tra “giudizio di realtà” e “giudizio di valore”, che è ciò che ha attratto Raymond Aron a Weber perché questa distinzione manca nella sociologia positivista francese di Auguste Comte. L”idea di Weber era che i fini ultimi degli esseri umani non sono una questione di scienza ma di scelta di valori fatta dall”individuo. Nelle scienze umane, abbiamo la scelta tra l”etica della responsabilità e l”etica della convinzione: nella prima, dobbiamo prevedere le conseguenze delle nostre azioni, mentre nella seconda, agiamo secondo la nostra coscienza a rischio di essere inefficaci. Questo conflitto tra due etiche opposte è, secondo Weber, presente in Machiavelli: “in un bel passo delle sue Storie fiorentine, se ricordo bene, Machiavelli allude a questa situazione e mette in bocca a un eroe di questa città le seguenti parole, per rendere omaggio ai suoi concittadini: ”Hanno preferito la grandezza della loro città alla salvezza delle loro anime.

Ne consegue che c”è sempre un compromesso tra l”etica della responsabilità e l”etica della convinzione. Pertanto, secondo Aron, Weber non vedeva nella realpolitik di Machiavelli “una caricatura dell”etica della responsabilità” ma piuttosto una realistica volontà di decidere tra due estremi, che rende “ogni politico un po” machiavellico”.

La nozione di stato

Nel Principe, la parola stato non significa più “condizione, posizione” ma è usata per indicare l”acquisizione e l”esercizio del potere coercitivo. Secondo Maurizio Viroli, ai tempi di Machiavelli, la parola stato evocava non solo il potere di un uomo sulla città ma anche il conflitto tra l”interesse dello stato da un lato e l”etica cristiana e il diritto internazionale dall”altro. Friedrich Meinecke vede Machiavelli come il primo ad aver formulato il concetto moderno di stato nel senso di Max Weber, cioè come un insieme di regole impersonali che assicurano un monopolio di autorità su un territorio. Mansfield (1996), al contrario, insiste sul fatto che la parola ha ancora il significato di Dominium, di dominio privato, e non ha ancora l”aspetto impersonale e meccanico della nozione moderna di Stato. Per i Medici, il termine stato significava il potere di una famiglia o di un uomo sulle istituzioni della città. Ciò che è nuovo, tuttavia, è l”insistenza di Machiavelli sul fatto che perché uno stato possa veramente possedere se stesso, deve avere un esercito dei suoi cittadini o sudditi.

Mentre molti studiosi ritengono, seguendo Friedrich Meinecke, che Machiavelli abbia contribuito a forgiare la nozione di raison d”État, secondo la quale il bene dello Stato deve avere la precedenza su ogni considerazione morale, egli si accontenta di notare che intorno all”inizio degli anni 1520, nel conflitto tra l”interesse dello Stato e la ragione morale e giuridica, l”interesse dello Stato fu poi percepito come equivalente alla ragione dello Stato, così che il conflitto divenne uno scontro tra due ragioni.

Raymond Aron insiste sul fatto che la concezione dello Stato “come strumento di costrizione legittima” si basa su un”antropologia in cui l”uomo è visto come naturalmente amorale, un concetto che Fichte prenderà da Machiavelli per farne il “primo principio della sua filosofia dello Stato”. Allo stesso modo, per Jacques Maritain, il culto dello Stato iniziato da Hegel e dai suoi discepoli è “solo una sublimazione metafisica dei principi di Machiavelli”. Ancora più pessimisticamente, Leo Strauss vede Machiavelli come un filosofo che prevede la condizione umana dal punto di vista del sub-umano piuttosto che del super-umano.

Condizione umana, religione e politica

Secondo Machiavelli, gli uomini sono spinti dall”ambizione e dall”avidità alla discordia e alla guerra. Nel suo poema Song of Happy Spirits, descrive un mondo segnato dalla crudeltà e dalle misere vite dei mortali. Machiavelli fu testimone di molte crudeltà durante la sua vita, compreso il sacco della città di Prato nel 1512, dove, secondo una delle sue lettere, vide morire più di quattromila persone. Per il fiorentino, l”uomo è l”animale più sfortunato e quello più privato di tutto. In una poesia intitolata L”asino d”oro, un maiale gli dice:

In questo poema, Machiavelli fa talvolta riferimento esplicito al De rerum natura di Lucrezio, da lui tradotto. Il pensatore non vede l”essere umano come il padrone dell”universo, ma piuttosto come la vittima della natura e del destino. Nella visione di Machiavelli, la natura umana rimane invariata nel corso della storia, il che rende possibile trarre generalizzazioni dai racconti storici, ma gli eventi dipendono anche da elementi cosmici e dall”evoluzione della morale, che ha un carattere ciclico. Machiavelli scrive a questo proposito:

“La virtù darà tranquillità agli Stati; la tranquillità fa nascere la mollezza, e la mollezza consuma le nazioni e le case. Infine, dopo aver attraversato un periodo di disordine, le città vedono rinascere la virtù all”interno delle loro mura. Colui che governa l”universo permette questo ordine di cose, così che nulla è o può essere stabile sotto il sole.

Il cosmo di Machiavelli comprende il cielo, la fortuna, che descrive nel poema La fortuna come una dea che persino Giove teme, e Dio, l”ultima risorsa degli sfortunati. Anche se ci sono pochi riferimenti a Dio ne Il Principe, Machiavelli lo menziona cinque volte nella lungimirante “Esortazione a liberare l”Italia” che conclude l”opera.

Al tempo di Lorenzo il Magnifico e subito dopo al tempo di Machiavelli, il pensiero popolare a Firenze fondeva il determinismo astrologico con un idealismo platonico che valorizzava i saggi come era stato Lorenzo. Questo quadro, che si prestava al provvidenzialismo cristiano, attraeva Machiavelli tanto quanto lo respingeva. Dal punto di vista religioso, Machiavelli fu molto influenzato da Lucrezio. Virgilio Adriani, un professore dell”Università di Firenze che era il suo capo nella cancelleria, sosteneva che Lucrezio sradicò la paura superstiziosa fornendo una comprensione della natura delle cose. Sosteneva anche che i sacrifici per ottenere le grazie degli dei mantenevano gli uomini in schiavitù aumentando le loro paure. Infine, Adriani ha insistito sulla flessibilità e la mobilità necessarie per far fronte ai cambiamenti di fortuna. Tuttavia, mentre Machiavelli accetta essenzialmente la visione di Adriani di Lucrezio, egli differisce da Lucrezio in un aspetto chiave. Mentre il romano vuole liberare gli uomini dalla loro paura, Machiavelli vuole usarla per scopi politici. Nei Discorsi (I, 14), mostra come i Romani usavano la religione e la paura per ottenere l”accettazione e l”autorità delle loro leggi. Nei Discorsi (II, 2) critica la religione cristiana perché incoraggia la passività quando la religione romana incoraggiava una forte reazione. Infatti, nel caso di Machiavelli, la politica non è solo autonoma dalla religione come pensa Benedetto Croce; per Alison Brown, la subordina e ne fa uno dei suoi strumenti. In questo, segue Polibio, più che Livio.

Machiavelli fa una critica indiretta alla religione nei suoi Discorsi sulla prima decade di Tito Livio, dove esamina le cause della decadenza dell”Impero Romano. Egli attribuisce questo alla religione cristiana:

“Quando consideriamo perché gli uomini dell”antichità erano più innamorati della libertà di quelli del nostro tempo, mi sembra che sia per la stessa ragione per cui gli uomini di oggi sono meno robusti, il che è dovuto, secondo me, alla nostra educazione e a quella degli antichi, che sono tanto diverse tra loro quanto la nostra religione e le religioni antiche. Infatti, la nostra religione, dopo averci mostrato la verità e l”unica via di salvezza, ha diminuito ai nostri occhi il prezzo degli onori di questo mondo.

– Machiavelli, Discorso, II, 2

Machiavelli ritorna su questo aspetto ne L”arte della guerra. Alla domanda: “Perché la virtù militare è oggi estinta?”, Fabrizio, il portavoce di Machiavelli, risponde: “la colpa è della nuova morale introdotta dalla religione cristiana. Gérard Colonna d”Istria e Roland Frapet vedono in Machiavelli una “passione anticristiana” accuratamente nascosta in una strategia di scrittura che procede per attacchi sparsi e finisce in “una condanna radicale del cristianesimo”. Machiavelli deplora lo stato deplorevole di un”Italia lacerata dalla politica dei papi, dai vizi di questi ultimi e dal fanatismo cristiano che portò, in particolare, alla “pia crudeltà” di Ferdinando d”Aragona, il primo re della cristianità, che espulse i marrani dalla Spagna. Secondo questi autori, “Machiavelli credeva di aver scoperto la prova eclatante che un obiettivo troppo ambizioso poteva portare l”uomo alla bestialità. Ha studiato con passione questa inversione senza precedenti, che, sebbene sorprendente nei suoi eccessi, era tuttavia una testimonianza di una logica implacabile.

La nozione di conflitto

Secondo Machiavelli, fu il conflitto tra i nobili e il popolo che permise l”instaurazione della libertà romana spingendo alla creazione di leggi e istituzioni adeguate. Per lui, il conflitto è inerente a qualsiasi società perché l”opposizione tra i grandi e la gente comune è strutturale. Nel capitolo IX de Il Principe, Machiavelli nota:

“Ma, venendo all”altro caso, in cui un privato cittadino, non per scelleratezza o violenza intollerabile, ma per il favore dei suoi concittadini, diventa il principe del suo paese, io dico che si arriva a questa autorità suprema o per il favore del popolo o per quello dei grandi. Perché nel corpo di ogni città troviamo questi due umori: questo perché il popolo desidera non essere comandato né oppresso dai grandi, e i grandi desiderano comandare e opprimere il popolo. Da questi due diversi appetiti nasce nelle città uno di questi tre effetti: principato, o libertà, o licenza”.

Allo stesso modo, per Claude Lefort, “uno dei maggiori contributi di Machiavelli sta nel riconoscimento della potenziale fecondità dell”antagonismo sociale”. In questo segue un approccio a Machiavelli in parte perseguito da Maurice Merleau-Ponty nel suo libro del 1947 Umanesimo e terrore, un approccio che gli ha permesso di rompere con una tesi centrale dell”ortodossia marxista che “il conflitto politico può essere definitivamente superato”.

Per Machiavelli, il conflitto ha il merito di far uscire gli esseri umani dalla compiacenza che, secondo lui, porta alla corruzione e all”indolenza e ostacola la realizzazione di grandi progetti. Il problema non è il conflitto ma la sua gestione. A Roma, i conflitti politici interni furono a lungo risolti da dispute retoriche (disputando), mentre a Firenze furono risolti dal combattimento armato (combattendo). Ma se nuove leggi possono emergere dalla discussione, niente del genere può scaturire da conflitti volti al dominio di una parte sull”altra. Questo approccio porta un autore come Pierre Manent a descrivere la teoria machiavelliana come democratica e a notare:

“La violenza e la crudeltà che ci sono nel mondo non nascono dalla cattiveria di ogni individuo ma dalla pluralità di esistenze separate. È tenendo lo sguardo fisso su questo centro che possiamo capire perché e fino a che punto la teoria machiavelliana può dirsi democratica La politica machiavelliana è dunque democratica nel primo senso che trae le conseguenze dall”astuzia oggettiva della forza. È democratico in un secondo senso. Contrariamente alla tradizione aristocratica, che vede la causa dei disordini interni nella cupidigia del popolo, Machiavelli la trova piuttosto nell”avidità dei Grandi”.

Ma l”eloquenza non basta a tenere insieme il popolo, da qui la necessità di ricorrere talvolta alla violenza o almeno alla forza, come afferma implicitamente Machiavelli nella famosa frase de Il Principe: “tutti i profeti armati hanno trionfato, disarmati sono caduti” (Il Principe, VI). Machiavelli è tanto più sensibile a questo limite dell”eloquenza in quanto ne L”arte della guerra accusa i principi italiani di aver fatto troppo affidamento sulle parole e non abbastanza sulla forza armata. Tuttavia, egli raccomanda l”uso della violenza solo se la necessità, cioè la sopravvivenza dello stato, lo richiede.

Il tema della necessità

Secondo Marina Marietti, la nozione di necessità è una delle “parole chiave dell”opera”. Infatti, nell”opera di Machiavelli, è la necessità, le circostanze esterne all”uomo, a condizionare l”azione. Per capire il fiorentino, dobbiamo ricordare, sottolinea questo ricercatore, che l”Italia era allora teatro di scontri tra potenze straniere che, in un certo senso, costringevano le città-stato ad adattarsi al cambiamento delle circostanze. In ogni caso, l”introduzione della necessità nella politica portò un profondo cambiamento. Infatti, l”importante non è più la prudenza ma l”adattamento alle circostanze mostrando uno spirito di innovazione. È anche una rottura con il pensiero di Tommaso d”Aquino, che credeva che la scelta dello statista fosse dettata solo dal suo libero arbitrio e dalla ricerca della giustizia. Con l”introduzione della necessità, l”importante è affrontare gli eventi mutevoli (la nozione di fortuna) e ciò che conta non è più la virtù ma la virtù, che richiede lungimiranza, coraggio e fermezza nelle decisioni. Qualcosa che, secondo Machiavelli, mancava a Massimiliano d”Austria.

Per Machiavelli, la necessità è legata al bene. Nell”antropologia machiavelliana, infatti, l”uomo è soggetto a una stanchezza del bene (lo stuccarsi del bene) causata da una delle principali fonti di corruzione per questo pensatore: l”ozio, “la superba accidia” (Discorso I, prefazione). Per Machiavelli, “gli uomini non fanno mai il bene se non per necessità”, da cui la nota frase del fiorentino: “fare di necessità virtù”.

Tucidide e Machiavelli, i due fondatori della tradizione del realismo, danno il primo posto alla nozione di necessità, che deriva non solo da eventi esterni ma anche dalla necessità indotta da una natura umana considerata stabile. Tuttavia, mentre per lo storico greco c”è “una tensione inestinguibile tra la necessità immorale e le possibilità etiche della politica”, un elemento morale o umano che trascende la necessità, per Machiavelli “la necessità esterna e il realismo che impone permettono di salvare la comunità”.

La nozione di tempo

Per Machiavelli, il tempo è lineare, quindi il fallimento significa “immersione senza ritorno nell”abisso del non-essere politico”: bisogna quindi adattarsi al tempo presente. Per durare nel tempo, una repubblica può costruire un”architettura istituzionale per resistere alla corruzione del tempo. Machiavelli scrive a questo proposito: “Niente al contrario renderà ferma e sicura una repubblica come incanalare, per così dire, con la legge i temperamenti che la agitano”. (Discorso 3, VII).

Per il fiorentino, i cambiamenti introdotti dal tempo possono portare a un ritorno alle condizioni originali e provocare un rinnovamento, come è avvenuto nella religione cattolica grazie a Francesco d”Assisi e Domenico di Guzmán e come crede sia avvenuto nella monarchia francese del suo tempo. Parlando di religione, nota:

“Ma questo rinnovamento non è meno necessario per le religioni, e la nostra ne fornisce la prova. Sarebbe andata completamente perduta se non fosse stata riportata al suo principio da San Francesco e San Domenico. I nuovi ordini che essi stabilirono furono così potenti da impedire che la religione fosse persa dalla licenziosità dei vescovi e dei capi della Chiesa.

– Machiavelli, Discorso, 3, I1

Corruzione politica e religione

Per Machiavelli, la corruzione politica deriva dal fatto che gli esseri umani non sono disposti a mettere il bene comune della città al di sopra degli interessi particolari o degli interessi di una categoria sociale (comunità, classe sociale, ecc.). Secondo Viroli, “la corruzione è anche un”assenza di virtù, una sorta di pigrizia, una mancanza di attività politica, o una mancanza di forza morale e fisica necessaria per resistere alla tirannia e per impedire agli uomini ambiziosi e arroganti di imporre il loro dominio sulla società.

La corruzione politica si verifica quando le leggi non sono più rispettate, quando il timore di Dio è scomparso, quando la gente che vive sotto il dominio di un principe da molto tempo ha acquisito abitudini servili e non è più in grado di deliberare da sola, quando le differenze di ricchezza diventano esagerate, quando il potere diventa assoluto.

Era molto critico nei confronti della corruzione della Chiesa del suo tempo, e credeva che qualsiasi legame tra religione e politica portasse inevitabilmente alla corruzione di entrambe. Inoltre, una Chiesa incorrotta, anche se più rispettabile, sarebbe ancora più dannosa per la sfera pubblica, a causa dei precetti stessi della religione cristiana. Egli contrappone così quest”ultima alla religione romana:

“La nostra religione pone la felicità suprema nell”umiltà, nell”abiezione e nel disprezzo delle cause umane; e l”altra, al contrario, consiste nella grandezza dell”anima, nella forza del corpo e in tutte le qualità che rendono gli uomini formidabili (Discorso II, 2).

Per Machiavelli, la corruzione distrugge la libertà politica e mette le persone in uno stato di servitù. Uscire da un tale stato è difficile, perché richiede una forza, una virtù, che non è comune ma che porta vera gloria. Tale redenzione deve essere raggiunta stabilendo una nuova legge, un nuovo governo per legge. In questa prospettiva, l”uso della forza diventa legittimo quando è l”unico modo. Per questo ammiratore della Repubblica Romana descritta nei Dieci Libri di Livio, questa restaurazione della virtù richiede un regime repubblicano.

Machiavelli, critico dello stile di vita dei Medici

Cosimo de” Medici costruì il potere della sua famiglia costruendo una rete di sostenitori attraverso la distribuzione di favori, che gli diede il controllo sulle istituzioni di Firenze. Lui e i suoi successori hanno governato usando la loro influenza senza proporsi, senza cambiare la costituzione e senza mai rivendicare il titolo di Principe. Tuttavia, quando la restaurazione del potere dei Medici a Firenze nel 1512 portò alla fine della Repubblica, i nuovi governanti temevano i sostenitori della Repubblica. Da quel momento in poi, i Medici avevano due opzioni: usare la forza, una posizione sostenuta da Paolo Vettori, o stabilire un regime simile a quello di Cosimo, una posizione raccomandata da Giuliano de Medici. Machiavelli credeva che i nuovi governanti sopravvalutassero il potere dei repubblicani. Infatti, secondo lui, dimenticano che la gente si preoccupa principalmente dei propri interessi immediati e vogliono trattare prima con gli attuali governanti, chiunque essi siano. D”altra parte, consigliò ai Medici di guardarsi dai nobili, che erano sempre pronti a cambiare parte se i loro interessi e le loro ambizioni li portavano a farlo. Inoltre, Machiavelli credeva che i Medici non potessero più accontentarsi di comandare in segreto, come ai tempi di Cosimo, perché non c”era garanzia che le persone che intendevano influenzare li avrebbero seguiti. Consigliava loro anche di abbandonare la politica dei favori, perché “le amicizie che si ottengono per denaro e non per grandezza e nobiltà di cuore, si comprano, ma non si possiedono, e quando arriva il momento, non si possono spendere”. Machiavelli raccomanda quindi di usare invece la paura. Gli consiglia anche di trasformare i loro sudditi in fedeli sostenitori arruolandoli in un esercito cittadino.

Interpretare i fatti è difficile anche perché ci sono di mezzo le passioni, quindi l”arte della politica comporta sempre un certo grado di fortuna e dipende dalla capacità di superare i venti contrari.

La virtù e la padronanza della buona o cattiva sorte

La traduzione della parola virtù, che appare spesso negli scritti di Machiavelli, è stata a lungo problematica. A partire dagli anni 1970, il suo uso si è diffuso, per esempio da Claude Lefort (1972) e Jean-François Duvernoy (1974). Nel 1981, Quentin Skinner decise di accettare questa scelta e notò: “Continuo a considerare che è impossibile trovare, nella lingua inglese contemporanea, un termine o un insieme di perifrasi che possano costituire una traduzione soddisfacente del concetto di virtù (dal latino virtus), un concetto centrale nell”opera di Machiavelli. È per questa ragione che ho mantenuto questo termine o le espressioni che lo contengono nella loro forma originale in tutto il libro. In Francia, per evitare le connotazioni legate alla parola francese ”vertu”, che all”epoca aveva più o meno lo stesso significato, la maggior parte degli studiosi ha scelto di mantenere il termine di Machiavelli negli ultimi cinquant”anni. La parola deriva dal latino vir, che “caratterizza un uomo nel senso più nobile della parola”. Per il dizionario Gaffiot, vir si riferisce a un uomo di carattere, un uomo che gioca un ruolo nella città. Un politico che ha virtù deve sapersi adattare alle situazioni e passare dal bene al male secondo le circostanze imposte dalla fortuna. La virtù è un concetto importante perché è la qualità che i politici degni di questo nome devono possedere o sviluppare, cioè capaci di salvaguardare lo Stato e realizzare grandi cose. Infatti, secondo Duvernoy, “lungi dal poter fare della virtù un tratto psicologico, bisogna dire al contrario che il rapporto tra psicologia e virtù è di lotta”. Per Helmuth Plessner (contemporaneo di Heidegger), la politica è definita in modo molto “machiavellico”, come “l”arte del momento favorevole, dell”occasione propizia”, ciò che gli antichi greci chiamavano il kairos. Questa ricerca del momento favorevole spiega anche perché Machiavelli associa spesso la fortuna alla virtù. Luciani lo definisce come “capacità, abilità, attività, potere individuale, sensibilità, attitudine all”opportunità e misura delle proprie capacità”. Per John Greville Agard Pocock, virtù ha anche un doppio significato di “strumenti di potere, come le armi, e le qualità personali richieste per maneggiare questi strumenti”. Nel capitolo venticinque de Il Principe, Machiavelli insiste sulla forza cieca della fortuna: “La paragono a un fiume impetuoso che, quando straripa, inonda le pianure, rovescia gli alberi e gli edifici, si porta via la terra da una parte e la porta da un”altra: tutto fugge davanti alle sue devastazioni, tutto cede alla sua furia; niente può ostacolarlo” (Il Principe, cap. XXV). In generale, la fortuna è una fonte di miseria, afflizione e disastro. Per affrontare la fortuna, occorre una “virtù organizzata” (ordinata virtù), capace di incanalarla. Superare o resistere alla fortuna richiede un rapido adattamento alle nuove situazioni, il che richiede più impetuosità e virtù che saggezza. Machiavelli paragona la Fortuna a una donna che “ama i giovani perché sono meno riservati, più violenti, e con più audacia la comandano”. Se le nozioni di fortuna e virtù sono così importanti in Machiavelli, è, secondo Pocock, perché Il Principe riguarda principalmente gli innovatori in politica, non i principi che sono eredi di lunghe dinastie e godono di “legittimità tradizionale”. Mentre quest”ultimo può fare affidamento sulla tradizione e sulle strutture esistenti, l”innovatore deve fare più affidamento sulla fortuna e sulla virtù per “imporre la forma della politica – la costituzione – è la funzione della virtù di imporre una forma alla fortuna”. Parlando dei grandi legislatori che hanno fondato grandi popoli o grandi città, scrive:

Leo Strauss nota che in Machiavelli virtù è talvolta opposta alla bontà, un”opposizione che riprenderà con Cicerone. Cicerone, nella continuità della Repubblica di Platone, contrappone la temperanza e la giustizia, che sono richieste a tutti, al coraggio e alla saggezza, che sono richieste solo ai leader. Machiavelli distingue una relazione in qualche modo simile tra virtù e “bontà”. Il primo è necessario per i leader, il secondo, inteso un po” peggiorativamente nel senso di obbedienza mista a paura, è caratteristico della grande massa della popolazione impegnata né in politica né nell”esercito.

La gloria come principio di immortalità e moderazione

Machiavelli, come gli umanisti e Cicerone, crede che la gloria non richieda la santificazione divina. Alla maniera degli antichi romani e greci prima del cristianesimo, egli credeva che la ricerca degli onori umani, cioè di questo mondo (inteso come diverso dall”altro mondo, quello divino), fosse un grande bene, soprattutto perché uomini e donne aspiravano a seguire l”esempio di principi gloriosi e rispettati. Per il fiorentino, la gloria di questo mondo, nonostante la volubilità e l”arbitrarietà degli uomini, può avere qualcosa di immortale quando è vera, quando è ciò a cui gli statisti dovrebbero aspirare. Per Machiavelli, la gloria e l”infamia hanno in comune il fatto che portano al loro detentore una sorta di immortalità, nel senso che rimangono sempre vivi nella memoria dell”umanità. Le strade della gloria e dell”infamia sono ugualmente vicine. Nel caso del pensatore, lo statista può ricorrere alla crudeltà e all”astuzia, ma se vuole raggiungere la gloria, può usare questi mezzi solo per il bene degli esseri umani e limitare il loro uso allo stretto necessario. Se indulge in mezzi estremi senza ritegno, allora, come Agatocle di Siracusa, sprofonda nell”infamia.

Se nel capitolo XVIII del Principe, Machiavelli suggerisce “un uso metodico ed economico della violenza” e ci ricorda che gli eroi guerrieri dell”Antichità erano stati educati dal centauro Chirone e che quindi gli uomini hanno una doppia natura, uomo e bestia, Resta il fatto che se l”uomo non vuole cadere nella tirannia e se vuole raggiungere la gloria, deve essere prudente, parsimonioso, nell”uso dei mezzi con questo maestro metà uomo e metà bestia, volevano significare che un principe deve avere entrambe le nature, e che l”una deve essere sostenuta dall”altra. Il principe, dunque, dovendo agire come una bestia, cercherà di essere sia una volpe che un leone: perché se è solo un leone, non vedrà le trappole; se è solo una volpe, non si difenderà dai lupi; e deve essere una volpe per conoscere le trappole, e un leone per spaventare i lupi. Quelli che si limitano ad essere leoni sono molto inesperti” (cap. XVIII).

Machiavelli distingue tra fama e gloria. Secondo Machiavelli, per acquisire fama, è necessario compiere grandi cose, come fece il re Ferdinando il Cattolico, ma questo non è sufficiente per la gloria. In effetti, la gloria richiede splendore sia negli obiettivi perseguiti che nei mezzi impiegati, cosa di cui questo sovrano non ha mostrato abbastanza.

Il repubblicanesimo di Machiavelli nel contesto

L”Italia nel Medioevo e nel Rinascimento ha avuto una storia unica perché non era né un regno, come la Francia o la Spagna, né un impero come la Germania (Impero Asburgico). Era divisa in molte città e stati commerciali, tra cui lo Stato Pontificio molto influente. Inoltre, c”era un conflitto latente tra la borghesia mercantile e la nobiltà guerriera. C”erano due grandi alleanze: quella dei guelfi, composta di solito dalle città commerciali e dal papato, e quella dei ghibellini, che era favorevole alla casa di Hohenstaufen e più tardi agli spagnoli e all”impero asburgico. Secondo Pocock, tutti gli scrittori fiorentini, compreso Machiavelli, erano guelfi. Quando il Papato lasciò Avignone e tornò a Roma nel 1377, volle espandere i suoi stati e divenne così una minaccia all”autonomia delle città-stato. Per superare i conflitti di fazione, le città-stato ricorrevano a podestà che non appartenevano alla città. La leadership di queste città-stato di solito contrappone i repubblicani ai principi. Per Hans Baron, la concettualizzazione della nozione di repubblica a Firenze iniziò con la crisi del 1400-1402 tra gli umanisti fiorentini e i Visconti di Milano. L”ispirazione per l”idea repubblicana fu Aristotele, in particolare attraverso il suo libro sulla politica. A quel tempo, la libertà sarebbe stata repubblicana in sostanza, perché era vista come residente nella partecipazione attiva al governo. Maurizio Viroli insiste sull”interpretazione di Gilles di Roma di Aristotele, secondo cui vivere politicamente significa vivere sotto la protezione della legge e sotto una buona costituzione. Secondo Quentin Skinner, al contrario, l”idea repubblicana nasce nel XIII secolo e trova la sua fonte non negli autori greci ma nei latini, principalmente Cicerone e Sallustio. Questo ricorso agli autori latini, ossessionati dalla caduta di Roma, portò i repubblicani a meditare sulle nozioni di declino e caduta. La caduta di Roma in particolare è analizzata come risultante da un eccesso di conquista che ha distrutto la virtù dei romani della repubblica. Secondo Machiavelli, sono possibili due tipi di repubblica: quella in espansione basata sul modello romano, che richiede virtù e virtù pagane, e quella difensiva, disarmata, animata da virtù cristiane. Chiaramente, il fiorentino favorisce il primo tipo di repubblica, poiché è vissuto prima delle guerre di religione europee, in cui i cristiani erano particolarmente attivi e molto poco pacifici. Machiavelli si trovò quindi di fronte a problemi diversi nel campo della religione rispetto a quelli che Jean Bodin e Thomas Hobbes avrebbero dovuto affrontare.

Repubblicanesimo machiavellico

In generale, gli studiosi di Machiavelli concordano sul fatto che il repubblicanesimo di Machiavelli è di un tipo speciale. Per Friedrich Meinecke, incorpora una parte del monarchismo perché può nascere solo attraverso l”azione di alcuni grandi uomini. Harvey Mansfield e Nathan Tarcov lo vedono come un misto di repubblica e tirannia. Secondo John Greville Agard Pocock, la repubblica di Machiavelli è una struttura di virtù radicata nella virtù dei cittadini soldati. Per Mark Hulluing, Machiavelli difende il repubblicanesimo solo perché lo ritiene più adatto alla gloria, all”accrescimento dello stato e alla violenza rispetto alla monarchia. Per Hans Baron, il repubblicanesimo di Machiavelli è un repubblicanesimo principesco radicato nella virtù civica.

Secondo Maurizio Viroli, il repubblicanesimo di Machiavelli è radicato nella ricerca di una repubblica ben ordinata, una repubblica governata dallo stato di diritto e da disposizioni costituzionali. Machiavelli prese questa idea dai giuristi e dagli umanisti civici del XIII e XIV secolo, per i quali la vita civile e politica poteva essere concepita solo sotto un governo repubblicano o sotto un governo misto che combinava le virtù della monarchia, dell”aristocrazia e della democrazia. Alamanno Rinuccini, seguendo Cicerone, sostenne nel 1493 che il fondamento di una vita veramente umana, cioè sia politica che civile, stava nella giustizia e nelle buone leggi.

Secondo Viroli, il repubblicanesimo di Machiavelli è un governo per legge, cioè tutti, anche i governanti e il Principe, sono soggetti alla legge. È anche un regime politico misto dove ogni componente della città ha il suo posto. L”obiettivo era quello di seguire l”esempio della Repubblica Romana ed evitare gli interminabili conflitti che Firenze ha vissuto. Era anche un regime che assicurava la libertà politica, cioè la partecipazione di tutti ai dibattiti pubblici e la possibilità per tutti, in virtù del loro merito, di occupare posizioni elevate. La libertà politica della città è intesa nel senso sviluppato dai giuristi e dai filosofi politici italiani del XIV secolo, cioè come la libertà della città di fare le proprie leggi senza riferimento a un imperatore. Per evitare il ritorno della corruzione, cioè il mancato rispetto della legge, i magistrati devono applicare la legge in modo inflessibile, soprattutto quando sono coinvolti i potenti.

I vantaggi del repubblicanesimo secondo Machiavelli

Prima di tutto, il regime repubblicano di Machiavelli permette di vivere liberamente e in sicurezza. Vivere sicuro richiede un ordine costituzionale minimo, come quello che lui credeva esistesse in Francia ai suoi tempi. Al contrario, vivere libero richiede la partecipazione attiva al governo da parte della nobiltà e del popolo, e l”emulazione tra i due, come avveniva nella Repubblica Romana. Un regime, in cui la cosa principale è vivere in sicurezza, diffida del popolo e si rifiuta di armarlo, preferendo usare mercenari per la sua difesa. Così, un tale regime rende il popolo passivo e debole. Per Machiavelli, quando i cittadini portano le armi, quando la difesa della città poggia su di loro, allora si può essere sicuri che nessuno (né governo né usurpatore) tiranneggerà il popolo. Per sostenere questa affermazione, prende l”esempio di Roma e Sparta: “Così Roma fu libera per quattro secoli e armata, Sparta per otto secoli; molte altre città furono disarmate e libere per meno di quarant”anni”. A questo viene spesso risposto che la Repubblica Romana fu teatro di conflitti tra la nobiltà e il popolo e che questo fu la causa della sua caduta. Machiavelli contesta questo approccio, per lui la tensione tra il popolo e la nobiltà era creativa, era la fonte stessa della grandezza romana. Egli scrive nei Discorsi (I, 4):

“Sottopongo a coloro che condannano le liti del Senato e del popolo che stanno condannando quello che era il principio della libertà, e che sono molto più colpiti dalle grida e dal rumore che hanno causato sulla pubblica piazza che dai buoni effetti che hanno prodotto.

La virtù è specifica solo di un individuo o è diffusa nel corpo sociale? Per Machiavelli, la virtù è ampiamente distribuita tra i cittadini. Questo è un forte argomento a favore del regime repubblicano. In effetti, la diversità degli esseri umani che possiedono o possono acquisire virtù permette di affrontare meglio gli eventi grazie al ricco pannello di individui capaci di affrontare le situazioni di crisi. Per esempio, quando Roma dovette affrontare i cartaginesi di Annibale Barca e dopo le prime vittorie cartaginesi, fu necessario temporeggiare, il tempo di preparare le legioni per la nuova situazione, Quinto Fabio Massimo Verrucosus, conosciuto come il Cunctator (il Temporizzatore), era l”uomo giusto per questo lavoro. D”altra parte, quando era il momento di prendere l”offensiva, era Scipione l”Africano che aveva le giuste qualità (virtù). Machiavelli scrive a questo proposito:

“Se Fabius fosse stato re di Roma, avrebbe potuto essere sconfitto in questa guerra, perché non avrebbe saputo variare il modo di combatterla secondo la diversità dei tempi, ma era nato in una repubblica dove c”erano vari tipi di cittadini e diversi caratteri: Così, come Roma aveva Fabius, un uomo che non avrebbe potuto essere più adatto per i tempi in cui era necessario limitarsi a sostenere la guerra, così aveva poi Scipione per i tempi in cui era necessario trionfare. “

– Machiavelli, Discorso (3, IX).

Dibattito democratico, bene comune e repubblica

Secondo Nederman, Machiavelli nel Discorso considera il dibattito democratico come il miglior metodo di risoluzione dei conflitti in una repubblica. Come nella retorica classica, e come nei teorici retorici italiani del tardo Medioevo, l”arte del discorso mira a convincere la gente dei meriti di una tesi e a rivelare le debolezze della tesi avversaria. Così, secondo Viroli (1998), l”enfasi di Machiavelli sul conflitto come prerequisito della libertà è di natura retorica. In generale, per il fiorentino, il popolo è il miglior garante della libertà e del bene pubblico. Infatti, la diversità dei punti di vista li rende meno vulnerabili all”inganno. Al contrario, nei regimi monarchici, coloro che vogliono “ingannare” non si trovano di fronte a tale diversità di opinioni e possono quindi imporre più facilmente le loro opinioni. Nei Discorsi, Machiavelli mostra grande fiducia nella capacità del popolo di agire e giudicare e dedica un capitolo a questo argomento:

“Per quanto riguarda la prudenza e la costanza, sostengo che un popolo è più prudente, più costante e migliore giudice di un principe. Non è senza motivo che si dice che la voce del popolo è anche quella di Dio. Si vede l”opinione pubblica prevedere gli eventi in modo così meraviglioso che sembra che il popolo sia dotato di un modo occulto di prevedere sia il bene che il male. Quanto al modo di giudicare, molto raramente li vediamo sbagliare; quando sentono due oratori di uguale eloquenza proporre due soluzioni opposte, è molto raro che non discernano e adottino quella migliore.

– Discorso (I, 58).

Claude Lefort vede in Machiavelli la comparsa di una nuova tesi di giustificazione del sistema democratico: “Così si afferma questa nuovissima tesi: c”è nel disordine stesso qualcosa per produrre un ordine; gli appetiti di classe non sono necessariamente cattivi poiché dal loro scontro può nascere una città”. Christian Nadeau si unisce a questa posizione dimostrando che Machiavelli non fa “un discorso sul primato dei mezzi sui fini, ma una vera riflessione sulle condizioni di possibilità della libertà politica”.

Secondo Maurizio Viroli, Machiavelli sostiene che, per risolvere i conflitti in modo non distruttivo e per il bene comune, i cittadini devono essere spinti da una forza morale che li rende capaci di percepire dove sta il bene comune e che li porta a volerlo raggiungere, a volte a scapito del proprio interesse: questa forza morale è l”amor di patria. Viroli si riferisce in particolare al capitolo “Un buon cittadino deve, per amore della sua patria, dimenticare le sue offese particolari” nei Discorsi (III, 47), evocando un caso avvenuto durante una guerra, quando il Senato dovette nominare un capo militare per sostituirne un altro che era stato ferito. Tuttavia, il generale scelto come successore era il nemico giurato di Fabius, che doveva dare la sua approvazione a questa nomina. Machiavelli scrive che il Senato “aveva due deputati che lo esortavano a sacrificare i suoi odi personali all”interesse pubblico… L”amor di patria prevaleva nel cuore di Fabius, sebbene fosse chiaro dal suo silenzio e da molte altre prove quanto gli costasse fare questa nomina”.

Le sfide del rinnovamento della lettura repubblicana di Machiavelli

La lettura repubblicana di Machiavelli ha vissuto un forte momento di rinnovamento con la pubblicazione del libro Machiavellian Moment. Florentine Political Thought and the Republican Tradition, di John Greville Agard Pocock, uno dei cui obiettivi è mostrare che accanto al pensiero di John Locke, era aperta anche la strada del repubblicanesimo fiorentino. Per questo autore, l”opposizione tra liberalismo e repubblicanesimo non apparterrebbe solo al passato, ma rimarrebbe oggi. Pocock insiste sulla cittadinanza intesa come partecipazione attiva alla vita politica e militare, che si oppone alla Libertà dei moderni del liberalismo contemporaneo. Così facendo, egli cerca di “esporre i difetti del pensiero esclusivamente giuridico e liberale”. Tuttavia, Pocock si concentra principalmente sulla partecipazione dei cittadini alla vita politica, dimenticando di affrontare la questione dell”ordine istituzionale e giuridico in Machiavelli, tema che Maurizio Viroli tratterà nel 1998. Nel 2004, Vickle B. Sullivan nel suo libro Machiavelli, Hobbes and the Formation of a liberal Republicanism in England, insiste che ci fu una riconciliazione tra il repubblicanesimo machiavelliano e il liberalismo lockeano nell”Inghilterra del XVII secolo.

Diffusione rapida del lavoro

L”opera di Machiavelli è stata “conosciuta, studiata e discussa come poche altre nella storia”: “Lo scandalo causato dall”immagine del principe che governa a suo piacimento, indifferente ai precetti cristiani e occupato a usare i suoi sudditi per la propria gloria o piacere, ha risonanze diverse da quelle strettamente religiose. La sua forza sta nel fatto che sfida una rappresentazione tradizionale della società. Il Principe, che inizialmente circolò in forma manoscritta, fu dedicato a un cardinale e fu ben accolto dal Papa, che ne autorizzò la stampa nel 1531. L”opera si diffuse rapidamente, grazie allo sviluppo della stampa. Non meno di 15 edizioni del Principe e 19 del Discorso furono pubblicate tra il 1572 e il 1640, così come 25 traduzioni francesi. Solo vent”anni dopo la sua pubblicazione iniziarono i primi attacchi, dovuti al cardinale inglese Reginald Pole che, nella sua Apologia all”imperatore Carlo V (1552), la considerava un”opera “scritta dalla mano di Satana”. Il principe fu anche attaccato dal vescovo portoghese Jeronymo Osorio e dal vescovo italiano Ambrogio Catarino nel suo De libris a christiano detestandis (1552). Questi attacchi portarono all”indicizzazione del Principe, dei Discorsi e delle Storie Fiorentine da parte di Papa Paolo IV nel 1559, una misura che fermò la pubblicazione nelle aree di influenza cattolica ad eccezione della Francia.

Le idee di Machiavelli hanno avuto un profondo impatto sui leader occidentali. Il principe fu presto tenuto in grande considerazione da Thomas Cromwell. Prima di lui, il libro influenzò Enrico VIII sia nelle sue tattiche, per esempio durante il Pellegrinaggio di Grazia, sia nella sua decisione di passare al protestantesimo. Anche l”imperatore Carlo V aveva una copia del libro, nel XVI secolo i cattolici associavano Machiavelli ai protestanti e i protestanti lo consideravano italiano, e quindi cattolico. Infatti, ha influenzato sia i re cattolici che quelli protestanti. L”influenza di Machiavelli si nota sulla maggior parte dei maggiori pensatori politici del periodo. Francis Bacon scrisse: “Siamo molto in debito con Machiavelli e altri scrittori simili che annunciano e descrivono apertamente e senza mezzi termini quello che l”uomo fa, non quello che dovrebbe fare”.

La figura di Machiavelli è anche molto presente nella cultura letteraria dell”epoca, ed è citata più di quattrocento volte nel teatro elisabettiano (Marlowe, Shakespeare, Ben Jonson, ecc.). In Francia, Jean de La Fontaine ha incluso un adattamento del racconto Belphégor archidiable di Machiavelli nella sua ultima raccolta di favole con il titolo Belphégor (ha anche adattato la sua opera La Mandragore come un racconto in versi con lo stesso titolo.

San Bartolomeo, la nascita del machiavellismo e del tacianesimo nel XVI secolo

In Francia, dopo una prima tiepida accoglienza, il nome di Machiavelli fu associato a Caterina de Medici e al massacro di San Bartolomeo. Nel 1576, quattro anni dopo questo oscuro episodio delle guerre di religione, l”ugonotto Innocent Gentillet pubblicò a Ginevra una grande opera intitolata Discours sur les moyens de bien gouverner, spesso chiamata Discours contre Machiavel o Anti Machiavelli, che fu ampiamente diffusa in tutta Europa. Nella primissima epistola, indirizzata a François de France, duca di Alençon, Gentillet invita a “rimandare Machiavelli in Italia, da dove è venuta, con nostra grande disgrazia e danno”, perché è lei che è all”origine del massacro di San Bartolomeo: “i nostri Machiavelli di Francia, che furono gli autori e gli imprenditori dei massacri di San Bartolomeo”. Machiavelli è descritto come un ateo e il suo libro Il Principe è detto essere il Corano dei mediatori. Questo libro contribuisce ai duraturi fraintendimenti dell”opera di Machiavelli. È come se la rivelazione pubblica del funzionamento del potere rendesse il fiorentino responsabile della sua corruzione e dei mezzi utilizzati per mantenerla. Rivelando questi meccanismi e raccomandando il loro uso quando la situazione lo richiede e quando la debolezza di carattere dei governanti avrebbe conseguenze peggiori, Machiavelli mostra una via d”uscita pur non evacuando mai dal suo ragionamento la sua sfiducia nella natura umana. Attraverso il machiavellismo, la questione sollevata è quella del legame tra morale e politica: è su questo punto che Innocent Gentillet insiste.

In ogni caso, questa accusa di strategie immorali ricorre spesso nel discorso politico del XVI secolo, soprattutto tra i fautori della Controriforma come Giovanni Botero, Justus Lipsius, Carlo Scribani, Adam Contzen, Pedro de Ribadeneira e Diego de Saavedra Fajardo.

Jean Bodin, che apprezza l”opera di Machiavelli nel suo Méthode pour une compréhension aisée de l”histoire pubblicato nel 1566, ne fa una critica feroce nella prefazione al suo grande libro Les Six Livres de la République, pubblicato pochi mesi dopo quello di Gentillet:

“Machiavelli, che aveva la voga tra i mediatori di tiranni, non ha mai scandagliato il guado della scienza politica, che non sta nei trucchi tirannici, che ha cercato in tutti gli angoli d”Italia, e come dolce veleno ha versato nel suo libro del Principe. E per quanto riguarda la giustizia, se Machiavelli avesse gettato gli occhi sui buoni autori, avrebbe trovato che Platone chiama i suoi libri della Repubblica, i libri della Giustizia, come uno dei pilastri più solidi di tutte le Repubbliche.

L”ostilità di Bodin deriva dal fatto che egli è impegnato a sviluppare una “teoria della monarchia reale, in cui la sovranità del re è assoluta, ma è esercitata nel rispetto delle leggi e dei costumi e per il bene dei governati”. Molti di questi autori, nonostante le loro critiche, riprendono molte delle idee di Machiavelli. Accettarono la necessità per un principe di preoccuparsi della sua reputazione, di usare l”astuzia e l”inganno, ma come i modernisti successivi, enfatizzarono la crescita economica piuttosto che i rischi di guerre rischiose

Per evitare la controversia che circonda Machiavelli, alcuni critici preferiscono parlare di ”Tacitismo”, dal nome di Tacito, lo storico romano che scrisse la storia degli imperatori romani da Tiberio a Nerone. Il Tacitismo – di fatto il pensiero di Machiavelli spogliato del suo aspetto più discutibile – è usato per insegnare ai consiglieri dei principi o dei re a servire i monarchi assoluti e a consigliarli su politiche realistiche. Il Tacitismo si divide in due tendenze: il “Tacitismo nero” che sostiene la legge del principe e il “Tacitismo rosso” che sostiene la Repubblica, e può essere classificato come in continuità con i Discorsi sulla prima decade del Titelive di Machiavelli.

Machiavelli il repubblicano (XVII secolo – XVIII secolo)

Nel 1597, la nomina di Alberico Gentili, un giurista di formazione perugina, al posto di professore di diritto civile a Oxford contribuì a stabilire la reputazione di Machiavelli come autore repubblicano. Infatti, nel suo De legationibus del 1685, Gentili tratta eloquentemente il Machiavelli dei Discorsi. Nell”Inghilterra e nell”Olanda del XVII secolo, e nella Francia del XVIII secolo, Machiavelli è spesso presentato come un difensore della repubblica veneziana e del repubblicanesimo in generale, in parte sotto l”influenza di Gentili, interpretazione ripresa da Boccalini.

Durante il Commonwealth d”Inghilterra e il protettorato di Oliver Cromwell, i Discorsi di Machiavelli servirono come fonte di ispirazione per i repubblicani, come in The Case of the Commonwealth of England di Marchamont Needham nel 1650 o Oceana di James Harrington nel 1656. I repubblicani nel senso del Commonwealth dell”epoca, John Milton, Algernon Sydney e Henry Neville, adattarono le nozioni machiavelliane di virtù civica, partecipazione e l”effetto salutare del conflitto al caso inglese. Henry Neville, che pubblicò le opere di Machiavelli nel 1675 e 1680, in una lettera immaginaria di Nicolaus Machiavelli a Zanobius Buondelmontius, si rivolge ai convertiti nel giardino dei Rucellais, cioè ai repubblicani. Nell”immaginario repubblicano, è in questo giardino che si sarebbero tenute le discussioni riportate nel Discorso sulla prima decade di Tito vivo, per far notare loro che Il Principe è prima di tutto una satira dei tiranni destinata a mostrare il loro vero carattere. Anche se non è sempre menzionato come fonte di ispirazione a causa delle controversie che circondano il suo nome, Machiavelli ha anche lasciato il segno sul pensiero di altri importanti filosofi inglesi, come Hobbes e Locke.

In Olanda, Johan e Pieter de la Court usarono i Discorsi per difendere l”idea che in una repubblica, gli interessi di tutti sono meglio presi in considerazione perché si stabilisce una sorta di equilibrio di interessi. I loro scritti influenzarono Spinoza che, nel suo Tractatus theologicopoliticus (1670), difese una visione realista della politica basata sul capitolo 15 del Principe e propose un”interpretazione democratica di Machiavelli presentandolo anche come repubblicano.

In Francia all”inizio del XVII secolo, da una prospettiva non repubblicana, Machiavelli fu apprezzato dal cardinale Richelieu “che non fu l”ultimo a seguire i precetti più machiavellici del Principe”. Si dice che il cardinale abbia incoraggiato Louis Machon a scrivere un libro favorevole a Machiavelli: L”Apologie de Machiavelli, un libro che non fu pubblicato e rimase in forma di manoscritto. Montesquieu chiamava Machiavelli “un grande uomo”, ma credeva che Machiavelli avesse fatto di Cesare Borgia “il suo idolo”. Nel De l”esprit des lois (1748), ha una visione pragmatica: “Abbiamo cominciato ad essere curati dal machiavellismo, e ne saremo curati ogni giorno. C”è bisogno di più moderazione nei consigli: quelli che una volta si chiamavano colpi di stato, oggi, a parte l”orrore, sarebbero solo imprudenze”. Assegnando un ruolo centrale alle passioni e agli interessi negli affari umani, distingue tra virtù morale e politica.

In Prussia, dove il repubblicanesimo di Machiavelli era poco apprezzato, il giovane re Federico II di Prussia si impegnò comunque a confutare Il Principe e cercò l”aiuto di Voltaire per farlo. Questo ha portato al libro Anti-Machiavel, o Essai de critique sur le Prince de Machiavelli, pubblicato da Voltaire nel 1740. La pagina è divisa in due colonne, con il testo del Principe nella traduzione di La Houssaye in corsivo a sinistra e, in parallelo, i commenti del Re rivisti e amplificati da Voltaire. Nel capitolo VIII, Voltaire corregge Machiavelli storicamente, ricordando il triste destino di alcuni tiranni (“un cattivo punisce un altro”). Ma, nel complesso, secondo Artaud de Montor, “il libro di Voltaire è più una declamazione perpetua che una confutazione formale”. La prefazione stabilisce il tono:

“Il Principe di Machiavelli è per la morale ciò che l”opera di Spinoza è per la fede. Spinoza ha minato le fondamenta della fede e tendeva nientemeno che a rovesciare l”edificio della religione; Machiavelli ha corrotto la politica e si è impegnato a distruggere i precetti della sana morale. Gli errori dell”uno erano solo errori di speculazione; quelli dell”altro erano errori di pratica.

Commentando quest”opera, Rousseau è molto critico nei confronti del re di Prussia: “Non posso stimare né amare un uomo senza principi, che calpesta tutti i diritti umani, che non crede nella virtù, ma la considera un”esca con cui si divertono gli sciocchi, e che ha iniziato il suo machiavellismo confutando Machiavelli. D”altra parte, egli “ammira profondamente il genio di Machiavelli, riconosce la forza del suo pensiero, il suo intuito nella conoscenza degli uomini, la certezza del suo giudizio sugli eventi”. Rousseau giustifica così la sua lettura di un Machiavelli repubblicano:

“Machiavelli era un uomo onesto e un buon cittadino, ma attaccato alla casa dei Medici, fu costretto, nell”oppressione della sua patria, a dissimulare il suo amore per la libertà. La scelta del suo esecrabile eroe da sola mostra sufficientemente la sua intenzione segreta, e l”opposizione delle massime del suo libro del Principe a quelle dei suoi Discorsi su Tito Livio e della sua Storia di Firenze dimostra che questo profondo politico ha avuto finora solo lettori superficiali o corrotti”.

Questa interpretazione si trova ancora nell”articolo di Diderot sul machiavellismo e in quello di Alfieri. Per gli studiosi contemporanei, tuttavia, non è probabile ipotizzare un doppio senso e un”intenzione satirica dietro i passaggi più rivoltanti del Principe.

In ogni caso, Machiavelli ispirò certamente Robespierre, per il quale “i piani della Rivoluzione Francese furono scritti per la maggior parte nei libri… di Machiavelli”. Allo stesso modo, quando Robespierre giustifica il Terrore – “il dispotismo della libertà contro la tirannia” – sembra talvolta ripetere parola per parola il famoso passaggio in cui Machiavelli sostiene la necessità della violenza per fondare un nuovo ordine politico o riformare quelli corrotti. Entrambi credevano che il problema centrale dell”azione politica fosse quello di stabilire una fondazione capace di costituire la sfera pubblica e che, per farlo, la violenza potesse essere giustificata. Per Hannah Arendt, Machiavelli è dunque “l”antenato delle rivoluzioni moderne”: come tutti i veri rivoluzionari, non desiderava niente di più appassionato che stabilire un nuovo ordine delle cose.

Influenza sui Padri Fondatori della Repubblica Americana

L”enfasi di Machiavelli sul repubblicanesimo porta a vederlo come una fonte importante, sia direttamente che indirettamente, del pensiero politico dei Padri Fondatori degli Stati Uniti. Fu il pensiero repubblicano di Machiavelli che animò Benjamin Franklin, James Madison e Thomas Jefferson quando si opposero ad Alexander Hamilton, temendo che mirasse a formare una nuova aristocrazia attraverso il Partito Federalista. Hamilton imparò da Machiavelli l”importante influenza della politica estera sulla politica interna. Tuttavia, mentre Machiavelli enfatizzava l”idea del conflitto di idee all”interno di una repubblica, Hamilton enfatizzava la nozione di ordine. Tra i padri fondatori, solo George Washington sfuggì all”influenza di Machiavelli.

John Adams fu il più studiato e apprezzato dei Padri Fondatori, commentando ampiamente Machiavelli nel suo A Defence of the Constitutions of Government of the United States of America. In quest”opera, egli classifica Machiavelli con Algernon Sydney e Montesquieu tra i sostenitori del governo misto. Per Adams, Machiavelli aveva anche il merito di ristabilire la presa della ragione empirica in politica. Adams è anche d”accordo con il fiorentino che la natura umana è immobile e guidata dalle passioni e concorda con Machiavelli che tutte le società sono soggette a periodi ciclici di crescita e declino. Per Adams, tuttavia, Machiavelli aveva un difetto: mancava di una chiara comprensione delle istituzioni necessarie per un buon governo.

L”influenza di Machiavelli nel XIX secolo

All”inizio del XIX secolo, l”interpretazione di Machiavelli fu plasmata dalla rivoluzione francese e dominata dalla questione del legame tra morale e politica. Associando la rivoluzione francese a Machiavelli, il primo ministro inglese William Pitt il Giovane accusò i rivoluzionari di machiavellismo e immoralità. Questo porta Kant a sottolineare che non c”è nulla di immorale nella Dichiarazione dei diritti dell”uomo e del cittadino e nella costituzione repubblicana, e al contrario mostra che non ci può essere vera politica senza rendere omaggio alla morale. Hegel nel suo libro sulla filosofia del diritto (1821) condivide la stessa opinione.

Nel XIX secolo, quando si parlava della rispettiva riunificazione dell”Italia e della Germania, l”idea della formazione dello stato e il patriottismo dietro il pensiero di Machiavelli hanno lasciato il segno su alcuni dei lettori più famosi. Per esempio, Hegel nella sua Costituzione germanica, scritta nel 1800 e pubblicata nel 1893, suggerisce un parallelo tra l”Italia disunita di Machiavelli e la Germania del suo tempo. In generale, nella Germania del XIX secolo, gli autori preferiscono enfatizzare il patriottismo di Machiavelli ed evitare argomenti più sensibili. È così che Max Weber procede nella sua Politica come vocazione (1919). Questo sociologo e filosofo tedesco è anche attento a non associare il pensiero di Machiavelli sullo stato con quello di Heinrich von Treitschke, che riduce lo stato a pura forza, violenza e potere. Weber cita Machiavelli solo poche volte e nota che la violenza dell”Arthashâstra di Kautilya mette in prospettiva la supposta violenza del Principe.

Marx fa “brevi riferimenti a Machiavelli”. Aveva letto i Discorsi, ma furono le Storie fiorentine e il loro studio dell”evoluzione del sistema militare italiano a catturare maggiormente la sua attenzione. Secondo lui, questo libro ci permette di capire “la connessione tra forze produttive e relazioni sociali”. Nel 1897, Benedetto Croce considerava Karl Marx il degno successore di Machiavelli e si stupiva che non fosse mai stato chiamato “il Machiavelli del movimento operaio”.

Friedrich Nietzsche, in uno scritto del 1888 pubblicato nel 1901 con il titolo La volontà di potenza, osserva: “Nessun filosofo raggiungerà senza dubbio quella specie di perfezione che è il machiavellismo. Perché il machiavellismo, puro, non mescolato, crudo, fresco, con tutta la sua forza, con tutto il suo mordente, è super umano, divino, trascendentale, non può essere raggiunto da un uomo, solo avvicinato.

Il primo studio approfondito di Machiavelli e della sua opera fu di Alexis-François Artaud de Montor: Machiavelli. Son génie et ses erreurs (1833).

Maurice Joly pubblicò il suo Dialogue aux enfers entre Machiavel et Montesquieu nel 1865.

Percezioni del 20° e dell”inizio del 21° secolo di Machiavelli

La tesi della responsabilità di Machiavelli nei due grandi conflitti mondiali fu avanzata dallo storico tedesco Friedrich Meinecke in L”idea di ragione di Stato nella storia dei tempi moderni (1924) e Die deutsche Katastrophe (1946). La prima di queste opere sfida non solo il machiavellismo e l”hegelismo, ma più in generale le idee astratte della rivoluzione francese. Secondo questo autore, il punto di partenza di tutti questi mali si trova in Machiavelli, che ha permesso lo scatenarsi della politica di potere. Nel secondo libro, Meinecke, secondo Barthas, riprende la stessa tesi e la adatta, sostenendo che rivelando metodi riservati a un”aristocrazia, Machiavelli ha portato a un machiavellismo di massa che ha reso possibile il Terzo Reich. I libri di Meinecke hanno influenzato il modo in cui Michel Foucault ha interpretato Marx nel suo lavoro sul concetto di “governamentalità” nel 1978.

Negli anni ”20 e ”30, la questione del legame tra il totalitarismo e il pensiero di Machiavelli fu sollevata, soprattutto perché Benito Mussolini aveva pubblicato un Preludio al Machiavelli nel 1924, che fu tradotto in francese nel 1927, in cui il Duce lodava Machiavelli. Se questo testo fu rapidamente contestato in Italia dal filosofo liberale Piero Gobetti, che mise in evidenza il repubblicanesimo di Machiavelli e “la sua difesa della fecondità del conflitto”, in Francia il testo fu accolto piuttosto favorevolmente. Nel periodo tra le due guerre, Le Machiavélisme avant, pendant et après Machiavel di Charles Benoist è una delle principali opere su Machiavelli e “si riferisce in modo elogiativo al testo di Mussolini”. Quest”opera ha tuttavia il merito di distinguere “quattro tipi di machiavellismo: quello di Machiavelli, quello di alcuni dei suoi discepoli (i machiavellici), quello degli antimachiavellici e infine quello delle persone che non lo hanno mai letto”. Costituirà una delle fonti delle riflessioni di Raymond Aron e Jacques Maritain sul machiavellismo. L”opera di Benoist è segnata dall”idea che il machiavellismo sia il frutto di un momento storico e dalla ripresa di temi nietzschiani. La lettura di Machiavelli nel periodo tra le due guerre è segnata dal problema delle élite e Aron sottolineerà le affinità tra il pensiero di Machiavelli su questo tema e quello del sociologo Vilfredo Pareto.

Parlando esclusivamente di storia del pensiero, il neotomista Jacques Maritain sostiene “che i regimi totalitari sono gli eredi di Machiavelli”. Secondo lui, la grande colpa di Machiavelli è di aver sollevato gli statisti e le statiste dalla loro colpa portando “nella sfera della coscienza quei costumi del suo tempo e la pratica comune dei politici di potere di tutti i tempi”. Aron e Élie Halévy, al contrario di Maritain, includono maggiormente nella loro analisi del totalitarismo i cambiamenti portati dalla creazione dell”economia di guerra durante la prima guerra mondiale. In ogni caso, in una riflessione iniziata alla fine degli anni ”30, Aron vede l”essenza del totalitarismo “nella congiunzione di machiavellismo e messianismo, di cinismo e fanatismo, nella perversione congiunta di scienza e religione”. In un”analisi piuttosto simile, Ernst Cassirer, nel suo libro Il mito dello Stato (1946), associa, come Meinecke, Machiavelli al nazismo.

Un”alternativa all”approccio proposto da Leo Strauss si sta sviluppando, specialmente nelle università di lingua inglese. Hans Baron, Isaiah Berlin e John Greville Agard Pocock hanno proposto un”interpretazione che ha reintrodotto il pensiero del fiorentino nei dibattiti politici contemporanei. Nel suo saggio del 1971, The Originality of Machiavelli, Isaiah Berlin, cercando di risolvere il conflitto tra morale e politica caratteristico del pensiero di Machiavelli secondo Benedetto Croce, trova nel fiorentino un pluralismo di valori che si accorda bene con il suo liberalismo politico. Intorno allo stesso tempo, Philip Pettit, John Greville Agard Pocock e Quentin Skinner fecero rivivere l”intreccio repubblicano di Machiavelli. Così facendo, seguono l”esempio di Rousseau, che scrisse: “Fingendo di dare lezioni ai re, ha dato grandi lezioni al popolo”. Il Principe è il libro dei repubblicani”. La lettura repubblicana di Machiavelli fa sì che il Discorso sia più apprezzato del Principe. John Greville Agard Pocock contrappone una tradizione repubblicana derivata da Machiavelli alla tradizione liberale. Così facendo, secondo Barthas, adotta un”analisi marxiana in cui l”impatto sociale ed economico sulla percezione del sociale e dei valori in voga. John Rawls, il grande esponente del liberalismo politico della fine del XX secolo, ignora Machiavelli, così come Jürgen Habermas, un altro grande filosofo politico contemporaneo.

Nel 2010, un po” ironicamente, John Greville Agard Pocock si chiedeva se l”unico principe machiavellico della storia europea fosse Napoleone Bonaparte “condottiero e legislatore, eroe di una repubblica e traditore cesarista”. L”idea non è nuova: nel 1816, un”opera anonima suggerisce che un manoscritto rilegato contenente traduzioni di varie opere di Machiavelli, tra cui una nuova traduzione del Principe e un”altra dei Discorsi, con note marginali di mano dell”imperatore, fu trovato nella carrozza di Napoleone dopo la battaglia di Waterloo. La storia è pura invenzione, anche se è vero che Napoleone progettò di portare i Discorsi con sé nella sua biblioteca di viaggio.

In Le Travail de l”œuvre Machiavelli (1972), Claude Lefort elenca otto grandi interpretazioni di Machiavelli, di cui mette in evidenza quelle di Cassirer e soprattutto di Leo Strauss: l”analisi di quest”ultimo è “di tutte quelle che abbiamo esaminato, la sola che collega la questione del senso del discorso machiavelliano a quella della sua lettura”. In questo libro propone anche una lettura sistematica delle due opere principali del fiorentino: Il Principe e i Discorsi. Mette al centro del pensiero di Machiavelli le nozioni di conflitto e di divisione sociale, così come l”economia del desiderio. Secondo questa analisi, “l”opera di Machiavelli provoca uno scandalo affermando il legame morganatico tra il male e la politica”: “Il machiavellismo è il nome del male. È il nome dato alla politica nella misura in cui è il male.

Con Machiavelli, la politica acquisisce uno status completamente nuovo, liberato dai criteri morali di giusto e sbagliato, e focalizzato esclusivamente sul successo del principe nel guadagnare o mantenere il potere. E l”esercizio del potere “obbedisce a una quasi-logica autonoma”. Come sostenitore di una politica di espansione, Machiavelli raccomandava di seguire il percorso della città aperta di Roma – piuttosto che quello di Sparta – e di affrontare il difficile compito di mantenere un equilibrio tra forze opposte:

“Penso che sia necessario imitare la costituzione romana e non quella di altre repubbliche, perché non credo che sia possibile scegliere un termine intermedio tra questi due modi di governo, e che le inimicizie che possono sorgere tra il popolo e il senato devono essere tollerate, considerandole un male necessario per raggiungere la grandezza romana.

– Machiavelli, Discorso, I, 6.

In un saggio intitolato Machiavelli in democrazia (2006), l”ex primo ministro francese Edouard Balladur inizia riconoscendo, dopo molti altri, che “il merito di Machiavelli è di aver messo fine all”ipocrisia dei buoni sentimenti. È stato il primo a descrivere i metodi del potere: la lotta per la sua conquista è lo scontro di ambizioni egoistiche, nient”altro. Balladur, che era stato chiamato al governo da François Mitterrand – soprannominato “il fiorentino” -, si proponeva a sua volta di identificare i metodi di potere nella società contemporanea, qualunque fosse il regime politico:

“Democrazia o dittatura, il fine rimane lo stesso: la conquista e il possesso del potere con tutti i mezzi, il più a lungo possibile. Nell”uso della menzogna, non c”è quasi nessuna differenza tra l”uno e l”altro, tranne che la menzogna è ancora più efficace in una democrazia perché permette di catturare i voti del maggior numero; mentre in una dittatura basta imporsi con la forza, dominare piuttosto che convincere.

Il libro analizza il rapporto con i giornalisti, l”importanza dell”immagine, l”effetto dei sondaggi, le virtù e i difetti necessari – far sognare, onestà, indifferenza alle critiche, lucidità, cinismo, ecc. -L”autore attinge alla sua lunga esperienza per sostenere la sua presentazione con riferimenti agli attori politici, pur avendo cura di non “menzionare i principi del suo tempo”. Non una parola sul suo ex amico di trent”anni, ma la sua ombra può essere vista dietro ogni colpo. La pubblicazione di una tale opera, che un tempo sarebbe stata impensabile per un politico, sembra confermare che il nuovo rapporto con la politica introdotto da Machiavelli è ormai un fatto ampiamente condiviso.

Rinnovato interesse per le commedie di Machiavelli

Il ventesimo secolo ha visto un revival di interesse per la commedia di Machiavelli.

Citazioni nella lingua dell”autore

Link esterni

Fonti

  1. Nicolas Machiavel
  2. Niccolò Machiavelli
Ads Blocker Image Powered by Code Help Pro

Ads Blocker Detected!!!

We have detected that you are using extensions to block ads. Please support us by disabling these ads blocker.